Fatto il Cda Rai, sfatto il campo largo: guerra aperta tra M5S e Pd. Il Mef indica Agnes e Rossi

26 Set 2024 13:56 - di Annamaria Gravino
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Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha proposto alla Presidenza del Consiglio dei ministri la nomina di Simona Agnes e Giampaolo Rossi nell’ambito del Cda della Rai. Il Parlamento ha eletto i quattro membri di propria competenza, che resteranno in carica per tre anni: si tratta di Federica Frangi e Antonio Marano, votati compattamente dal centrodestra, e Roberto Natale e Alessandro Di Majo, indicati dall’opposizione. O, più precisamente, da quella parte di opposizione che ha deciso di partecipare al voto: M5S e Avs. Confermando le decisioni della vigilia, infatti, Pd, Iv e Azione si sono ritirati sull’Aventino, disertando le votazioni per il Cda Rai di Camera e Senato. “Il campo largo non esiste, perché se esistesse avremmo una situazione differente”, ha commentato Angelo Bonelli. Una volta tanto non si può che dare ragione all’esponente di Avs, sebbene il suo ragionamento sia poi proseguito sul fatto che l’alleanza a sinistra si possa comunque costruire “con molta pazienza”, partendo dai “punti in comune” su alcune questioni come salario minimo e autonomia differenziata. Come si dice, la speranza è l’ultima a morire.

Il Cda Rai fa esplodere (ancora di più) il campo largo

Intanto, però, nel perimetro del campo largo, ogni giorno che passa, si accumulano macerie sulle quali appare sempre più difficile poter costruire qualcosa. Anche perché arrivano da diversi “cantieri”, si mischiano tra loro, hanno un effetto moltiplicatore le une sulle altre. Le ultime ore sono state emblematiche: non paghi della rottura su referendum e Cda Rai, nel campo disastrato si sono messi a litigare furiosamente anche sul ddl Lavoro, in un crescendo di accuse reciproche e veri e propri insulti, che si sono intrecciati sui diversi argomenti.

Referendum sulla cittadinanza, Cda Rai, ddl Lavoro: per M5S e Pd tutto è campo di battaglia

Conte non ha firmato il referendum sulla cittadinanza, Pd e Iv lo ha accusato di aver svenduto la posizione per la poltrona a viale Mazzini; Conte ha ribattuto che la sua, insieme ad Avs, è stata una scelta di responsabilità, perché il “Cda di un servizio pubblico deve essere doverosamente presidiato dalle forze di opposizione”, dunque semmai è stato il Pd a non fare quello che avrebbe dovuto, per di più in combutta con Renzi, artefice della vituperata riforma della governance. Poteva finire lì, e – insomma – ce n’era già abbastanza.

Ma in questa giornata ad alta tensione ci si è messo pure il ddl Lavoro, regalando un colpo di teatro in cui i ruoli si sono invertiti: dopo la dichiarazione di inammissibilità di una serie di emendamenti e il no alla richiesta di sospendere i lavori, il M5s ha decido di abbandonare l’aula, mentre il Pd è rimasto. “Quando si tratta di ottenere poltrone in Rai, sempre presenti per votare. Quando invece non si parla di poltrone, si abbandona l’aula”, hanno sottolineato fonti parlamentari del Pd riferendosi ai pentastellati. Sipario chiuso, verrebbe da dire, ma le cronache politiche insegnano che l’opposizione è maestra di sceneggiate. Non resta dunque che attendere la prossima puntata.

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