Il libro. “Bloodline”, viaggio al termine della Mensur: le confraternite che praticano la via del coraggio

29 Set 2024 9:00 - di Domenico Di Tullio

«Si teme il  sangue, oggi, come immediato richiamo all’altra paura assoluta, la perdita totale e irrimediabile del corpo per chi non ha anima.»

Mentre ogni cosa quotidiana appare edulcorata e corretta rimangono riserve ben distinte di uomini che vivono ancora i riti di sangue e coraggio, che appartengono alla tradizione dei loro avi d’Occidente. Corretta o corrotta che sia, la vita eroica scorre come un fiume carsico ed il reporter Alberto Palladino, unico fotoreporter italiano a cui è stato permesso documentare il rito, in “Bloodline” il suo libro fotografico, racconta il viaggio tra gli uomini della Mensur.

Dal latino mensura, che indica la distanza tra gli spadaccini, la Mensur è il duello rituale delle confraternite studentesche tedesche, nato nel XVII secolo, diventato metodo per forgiare carattere e spirito nazionale dei giovani universitari teutonici. Le fotografie di Alberto Palladino, appaiono due volte straordinarie: accade raramente che le confraternite aprano le loro sale di duello ad un fotografo, a memoria pochissimi possono vantarsi di aver ritratto i duellanti anche in azione; la forza espressiva della fotografia di Palladino esalta l’umanità straordinaria, il rispetto assoluto, la dedizione e l’orgoglio che promana dai volti, dalle posture, dagli sguardi, complice anche la scelta del bianco e nero di molte foto, celebra essa stessa la intima sacralità del Rito.

Restare immobili, “combattere” stoicamente

Oggi la Mensur, praticata esclusivamente da oltre 400 confraternite maschili, esiste ancora al di fuori delle regole della scherma sportiva e del duello classico. Ogni membro della confraternita, siano esse Burschenshaft più politiche o i confessionali Corps, deve partecipare almeno una volta a una Mensur, mentre in alcune confraternite è necessario uno specifico numero obbligatorio di duelli. Spesso, tuttavia, accade che periodicamente anche i membri anziani, con il volto istoriato di cicatrici, incrocino ancora le spade  con i meno esperti, in una sorta di trasmissione d’eredità di stoicismo e coraggio.

Unica regola ferrea: vietato muoversi, mentre rapidi i fendenti calano sulla testa e sul volto, lasciando sanguinose ferite ai partecipanti. È il polso a muovere la spada, lunga e smussata ma affilatissima, mentre il braccio, protetto da una cotta di maglia, deve rimanere fermo a proteggere, almeno in parte, il viso. Unico trofeo a restare ai duellanti è proprio il segno delle spade, il bacio feroce dell’acciaio sul volto, la Schmiss, la cicatrice, esibita come un simbolo di onore e status, in genere sul lato sinistro del viso o del cuoio capelluto, tant’è che le ferite non devono essere in alcun modo evitate, ma sopportate, immobili. Si vince, infatti, non muovendosi, perciò lo possono fare comunque entrambi i partecipanti, come entrambi possono perdere la mossa per tentare di evitare l’effetto dei fendenti. La lotta silenziosa dei due schermidori è rotta e animata da pochi richiami secchi: «Hoc, Bitte!» (In alto -le spade-, per favore!), «Los!» il comando di inizio, il rischio deve essere solo quello di perdere la postura perfetta, in attesa del ferimento di uno dei due.

La cicatrice come “stemma”

La cicatrice da esibire, cosiddetta anche Renommierschmiss, appariva  talmente distintiva che nei primi decenni del XX secolo chi non aveva l’opportunità di battersi se la procurava con il rasoio, auto infliggendola o facendosi aiutare da solerti barbieri: era il simbolo dell’élite culturale e sociale germanica, segno distintivo di una casta nazionale dominante e, inevitabilmente, guerriera.

La stoicità dei duellanti, il loro rimanere immobili e il protrarsi del combattimento rituale per un tempo indeterminato, pari solo alla resistenza fisica che dimostrano, perciò, viene premiata proprio dalla ferita, spesso rattoppata direttamente sulla pedana di scherma. La forza spirituale e morale necessaria a partecipare a questo confronto terribile appare incredibile, se comparata al nostro concetto di difesa totale dell’integrità corporea, al moderno rifiuto del dolore e del sacrificio, evitati più di ogni altra cosa, mentre ai giovani si insegna che è preferibile un nonno imboscato a quello che è sopravvissuto alla trincea, a una guerra, per i moderni storiografi televisivi, del tutto insensata e inutile, come dimenticabili sono i valori della Patria, del coraggio, dell’onore, retaggi oscuri di un patriarcato oppressivo, sacrificati alla nuova Diana, rigorosamente Ambientalista Fluida, invece che Cacciatrice.

Comunità di combattenti

Appare incredibile come ancor oggi ci siano ancora uomini che credano al valore affratellante del sangue e del sacrificio condiviso, ma ciò è, esiste, sopravvive. In numero ancora rilevante avvengono i duelli rituali, iniziazioni barbare, come direbbe qualcuno, ma ormai i barbari li attendiamo, li invochiamo a gran voce con carriaggi e cavalli al seguito, in orde crudelmente salvifiche, perché ci salvino dal dissing quotidiano di qualche cantante sempre stupefatto e dalle unghie accuratamente laccate, o dalle stupidaggini di altri deboli schiavi assurti a eroi dell’insensatezza totale, re di ogni cosa che sia comprare, drogarsi o fottere.

Alla fine, cessato il duello, i contendenti si abbracciano, hanno vinto entrambi la loro sfida, possono celebrare e bere insieme alla loro confraternita, che ha assistito orgogliosa alla loro prova di controllo e coraggio: è una Kampfgemeishaft, una comunità di combattenti che ha compiuto il rito, attraverso il combattimento, hanno combattuto insieme e celebrato valori antichi e ancestrali, rianimato quel tesoro nascosto nelle caverne dell’animo, quella rinnovazione attraverso il sacrificio che è patrimonio comune e indissolubile del nostro ancora vivacissimo, a ben vedere, amato Occidente.

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