Il libro. “Prima che ti svegli” di Angelo Mellone: un amore, l’ultima notte e l’abisso della solitudine
La delicatezza dei sentimenti ricorda la prosa di Yukio Mishima. La descrizione delle dinamiche amorose, soprattutto le più dolorose, rievoca invece il Giuseppe Berto della maturità e della consapevolezza. Sono e impressioni e valgono quel che valgono. Ma Angelo Mellone, con Prima che ti svegli (Capire edizioni, 2024), stupisce mettendo ordine alle sensazioni finali di una relazione, agli affanni di un’ultima notte già programmata. La notte dell’addio.
Il romanzo, poco più di sessanta pagine, inizia così: con una determinazione che, un foglio alla volta, svanisce per lasciar posto a tanto altro. «D. e P. ci misero poco a piacersi e poco di più a innamorarsi. D. però decise subito di porre alla loro relazione una data di scadenza: il dodici di marzo di un cert’anno. Quella data è arrivata: è oggi, è adesso, è la notte di questa strana vigilia. Come molte e molte altre volte ha fatto, P. ha raggiunto D. a casa sua all’ora del tramonto. Ha portato con sé un paio di grandi valige vuote, una busta di cartone con una bottiglia di vino rosso e una crostata alla confettura di fragole, la preferita di D.».
Il resto non si racconta, si legge. Anzi, lo si lascia scorrere assecondando la scelta editoriale – più che convincente – di non centrare il testo, ma di lasciarlo giustificato a sinistra, con i periodi rotti dai tanti a capo.
Il poeta Franco Arminio mette subito in guardia il lettore: «Forse Angelo Mellone – scrive nell’introduzione – è uno di quelli che hanno compreso e accolto una verità radicale: gli esseri umani non si capiscono. Ciò in cui possiamo sperare è che a volte incontriamo qualcuno che ha voglia di capire. Una voglia che la vita presto si incarica di corrompere. E arriva l’abisso della solitudine e le parole che diciamo o ci vengono dette sono frivole e posticce farfalle di carta che volteggiano all’ingresso del pozzo mentre noi strisciamo sul fondo, vogatori nel fango, atleti dello sconforto».
Dicevamo della delicatezza: quell’esperienza che si coglie prima di tutto con il naso. Eccola: «Amore mio – ha detto proprio così e ne ha avuto spavento: amore mio – c’è il tuo odore ovunque e questa è una bella cosa, si è posato sui cuscini, sul tavolo della cucina, sui panni stesi di prima mattina con l’aggiunta di ammorbidente, è evidente, l’odore è una traccia, il suggerimento di uno spartito a cui devi appendere le note sul pentagramma con le mollette come fosse lo stendino, e ritorno ai panni perché mi hai preso anche oggi una maglietta per dormire e ti ho lasciata fare, un furto concesso con il mio permesso oggi stesso, anzi ho un’idea, prendo un pennarello e provo a disegnare, ma come si disegna un odore?» Forse una risposta c’è.