La verità sul “prelievo forzoso” di Amato sui conti degli italiani: “Mandò a letto i ministri e fece tutto lui”
Giuliano Amato finisce sotto accusa dopo le clamorose rivelazioni di Andrea Monorchio al Corriere della Sera, che svela i retroscena di ciò che accadde nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1992, quando il governo Amato operò un prelievo forzoso e improvviso del 6 per mille su tutti depositi bancari. L’allora ragioniere dello Stato rievoca fatti mai detti relativi a quel decreto legge di emergenza senza eguali nella storia d’Italia, una norma varata per fronteggiare la speculazione dei mercati che si accanivano sulla lira. Tuttavia, nonostante quel provvedimento da regime latinoamericano, l’economia italiana rimase comunque sull’orlo della recessione.
«La decisione fu assunta in un incontro tra il presidente del Consiglio e il ministro delle Finanze Giovanni Goria – racconta Monorchio al Corriere – Era notte fonda ed eravamo riuniti a Palazzo Chigi, alle prese con i numeri della manovra. Mancavano tra i sei e gli ottomila miliardi. A un certo punto Goria disse ad Amato: “Andiamo di là”. Tornarono dopo venti minuti e il premier disse ai ministri: “Potete andare a dormire. Non lei Monorchio”».
Amato non mise agli atti il prelievo forzoso
“Amato le rivelò il progetto?”, chiede Francesco Verderami. «No – risponde Monorchio – La decisione del prelievo forzoso fu tenuta segreta per evidenti motivi: se fosse trapelato qualcosa il sistema sarebbe collassato. Nessuno fu informato: non i ministri, non il capo dello Stato e nemmeno il governatore di Bankitalia».
«Amato semplicemente la saltò. Quando verranno desecretati i verbali della riunione, si vedrà che tra i provvedimenti citati quello del prelievo forzoso non è agli atti. Per non menzionarlo, il premier si trincerò dietro una sorta di scioglilingua e passò avanti. La decisione rimase segreta fino alla sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale». Non solo: quando la misura fu ufficializzata, «il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, che era solito chiamarmi ogni giorno, quella volta non chiamò. Ciampi (allora governatore di Bankitalia) invece andò su tutte le furie. Chiamò Amato ed ebbe con lui uno scontro verbale violento».
L’85enne economista ribadisce che non era d’accordo con la misura e lascia intendere che fosse evitabile. Tuttavia, «tra le urla del governatore di Bankitalia e il silenzio del presidente della Repubblica, l’Italia alla fine si salvò». Verrebbe da dedurre: nonostante Amato.