Nazione & finanza. Così il “metodo Giorgia” ha convinto Ursula e ha vinto anche in Europa
A sinistra in questi ultimi giorni c’è stato persino chi è riuscito a parlare di «sconfitta europea per la Meloni». Non stupisce la cosa ma non può non fare una certa impressione il fatto che i progressisti non riescano a farsi una ragione della più grande vittoria degli ultimi anni. Ursula von der Leyen sembra aver preso ripetizioni da Giorgia Meloni su come si fa un governo e a testimoniarlo ci sono una serie di fattori. La prima lezione europea che la leader di Fratelli d’Italia ha dato alle sinistre unite è che una barca si governa solo se il Capitano è uno. Ci saranno sei vicepresidenti, ma nessuno è sovrapponibile a quello che Timmermans era nella scorsa Commissione: un monarca verde con cui quattro commissari avevano un rapporto privilegiato. Un mini presidente che ha potuto imporci le eco-follie e la farina di grillo. Stavolta ci sono dei veri vicepresidenti esecutivi. Non c’è posto per ego-frustrati che cercano potere burocratico. Lo ha scoperto Thierry Breton quando Ursula von der Leyen ha convinto Macron a scaricarlo. Nel 2022 Giorgia Meloni fece lo stesso per chiudere la partita del governo, facendo saltare nomi importanti degli alleati. E la cosa ha funzionato benissimo.
La seconda lezione è che non si accettano veti. Raffaele Fitto come vicepresidente è un fatto storico. Il suo nome, così come qualsiasi nome dei Conservatori aveva un veto fortissimo di Francia, Germania e Spagna che volevano una maggioranza spostata a sinistra e alleata dei Verdi. Ursula ha posto la rosa di nomi come non trattabile. La Francia ha minacciato di far saltare il voto. Ursula ha fatto saltare Thierry Breton. La Francia si è chinata. Hanno rapidamente capitolato anche gli altri. Se in una foresta cade il leone, tutte le altre creature si mettono in linea. Un po’ come successe quando Ignazio La Russa venne eletto Presidente del Senato contro gli auspici di una pattuglia di sabotatori interni.
L’ultima insegnamento è che bisogna ascoltare i segnali che vengono dalle urne. Sembra assurdo, ma talvolta bisogna ricordarlo. Certamente ha dovuto farlo capire anche Ursula von der Leyen ai politici che, pur avendo “non vinto” le elezioni, volevano imporre la linea all’intera commissione. Anche qui i paralleli sono molti. E anche stavolta ha funzionato.
Questa è stata la grande lezione italiana: per uscire dal pantano dei veti incrociati bisogna riporre al centro l’interesse nazionale. Altro che sconfitta. Qualcuno si è aggrappato al portafoglio di Fitto, deridendo la Coesione. È un errore madornale. Parliamo di oltre mille miliardi tra Pnrr e fondi di Coesione, una cifra importante e vitale non solo per il Sud Italia – che spesso ci siamo lamentati non riesca a spenderli a causa delle regole assurde che li vincolano – ma per tutto il blocco dell’Est, dalla Polonia alla Croazia. In sostanza, Fitto sarà un commissario italiano e un commissario conservatore. I Verdi non ne avranno nessuno e i gufi che non volevano un vice italiano resteranno a becco asciutto.
Questo è stato il metodo Giorgia: non piegarsi di fronte ai poteri forti. Gli stessi che magari sognavano un colpo di scena, con il ritorno di Draghi al posto di una von der Leyen abbattuta dal Parlamento al termine di una infruttuosa trattativa infinita. Certo, non è ancora finita. Anzi, la battaglia è appena iniziata. Ma è iniziata con tutti quei presupposti che, chi parlava di vittoria inutile in giugno, ha sempre detto che non avrebbero mai superato le Alpi. E che, invece, le hanno superate eccome.