Nazione & finanza. Una manovra equilibrata per il 2025 guardando al bene dell’Italia. In attesa che l’Ue si svegli

9 Set 2024 15:40 - di Villy De Luca
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I conti della Finanziaria 2025 sono presto fatti: 20 miliardi per riconfermare le misure stabilite negli scorsi anni, l’accorpamento delle aliquote Irpef (4 miliardi), il taglio del cuneo (10,7 miliardi), il finanziamento delle Zone Economiche Speciali (2 miliardi), missioni internazionali e detassazione welfare aziendale e premi di produttività (sommati circa 2 miliardi). Se ci aggiungete l’impegno di riduzione del deficit dello 0,5% annuo per 7 anni, ci vogliono tra 10 e 13 miliardi di euro. In totale 30 miliardi e rotti senza una sola misura nuova.

Nessun problema sulle coperture della finanziaria

E le coperture? Grazie alle maggiori entrate del primo semestre (10,9 miliardi), proiettate sui 12 mesi possiamo ipotizzare che 21 miliardi siano coperti. Agli altri 9 si può sopperire con dei tagli che Giorgetti starà già impartendo ai ministeri. Anche perché, va detto, spendiamo ogni anno più di 800 miliardi. Si tratterebbe di tagliare meno dell’1% delle spese. Non proprio una austerità anni ’70 diciamo. Il vero problema è un altro, semmai. Questa sarebbe la terza manovra in cui ai singoli Parlamentari viene tolta la possibilità di fare modifiche di un qualche peso alla Manovra. Mirabile esempio di disciplina di coalizione, dovuto soprattutto alla forza con cui la Premier tiene il punto. Ma simili sforzi non possono continuare all’infinito.

Paghiamo lo sfascio del superbonus

Purtroppo stiamo pagando, e continueremo a pagare nel prossimo decennio, l’assurda pretesa che con il Bonus 110% saremmo usciti dal baratro in cui i DPCM di Conte ci avevano messo. Era una idea molto keynesiana e molto sbagliata. L’unico posto dove ci siamo messi è una fossa di debito che ci siamo scavati da soli. Che, purtroppo, rischia di essere nulla di fronte a quella del PNRR, giustamente paragonato da Giorgetti ai piani quinquennali dell’URSS. Adesso che fare, dunque? Le battaglie sono dure, ma non rivedibili: bisogna rendere strutturali le misure che rifinanziamo anno dopo anno. Altrimenti sarà una costante rincorsa alla pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno. E l’unico modo di riuscirci è sfoltire la pletora dei bonus. Si è iniziato correttamente dall’assegno unico per i figli, che era una buona idea proprio perché ha consentito di evidenziare delle sacche di inefficienza. C’è poi tutta la pletora di incentivi per la transizione ecologica. Vogliamo dire una cosa controcorrente? La transizione ecologica è una roba da nordici, che se la possono permettere e la valutano moltissimo. Noi siamo mediterranei, abbiamo il mutuo da pagare. Non ce li possiamo permettere. Ma cosa dirà l’Europa, se cancelliamo queste voci?

Ci vuole una nuova Europa

Ecco, questo è il vero fulcro del problema: dobbiamo andare a Bruxelles a trattare esattamente questo. Noi rientriamo anche del deficit, ci mancherebbe. Ma qualsiasi spesa che ci imponete per ambiente, integrazione e ogni altra battaglia liberal ve la pagate voi, facendoci sconti sul dovuto. O quanto meno aumentando la dilazione temporale. Perché è facile fare la rivoluzione verde con le finanze tirate allo spasimo dei Paesi mediterranei. Se Giorgia Meloni riuscirà a portare a casa questa vittoria passerà, giustamente, alla storia come la politica che ha definitivamente rotto le catene che ci impedivano di far rialzare questa Nazione.

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