A cento anni dalla nascita, Dino Grammatico: sindaco missino, riformatore visionario e poeta

20 Ott 2024 14:00 - di Fernando Massimo Adonia

«Perché l’elezione diretta del presidente della Regione? Perché, in sostituzione del voto indiretto e di secondo grado e che scaturisce sempre dai patteggiamenti tra i partiti, allarga la partecipazione popolare e dà viva concretezza al principio di sovranità popolare». Lo diceva Dino Grammatico, parlamentare dell’Assemblea regionale siciliana per ben sette volte con il Movimento sociale italiano; sindaco di Custonaci (Trapani) per 16 anni e assessore all’Agricoltura nel primo governo Milazzo (1958-1959), il gabinetto inedito e irripetibile con dentro missini, comunisti, socialisti e i cristiano-sociali in uscita dalla Dc.

Parole pronunciate quando l’Msi presentò ufficialmente il progetto di far eleggere il presidente della Regione direttamente dal popolo siciliano. Era il 1991 e la proposta della Fiamma, in linea con la bandiera presidenzialista, fu affossata dalla vecchia partitocrazia per poi diventare concretezza nel 2001, con la prima elezione diretta dell’inquilino di Palazzo d’Orleans. Dino Grammatico, nel 1982, in pieno anticipo coi temi, affrontò la questione nell’importante convegno missino a Rapallo sulle riforme istituzionali. E a lui, infatti, si deve l’ispirazione affinché nascesse la fondamentale riforma che mise fine alla prassi di varare una media di cinque governi regionali a legislatura.

Le sue idee sembrano quanto mai attuali, soprattutto in questa fase storica, che vede al governo, per la prima volta, un erede diretto della Fiamma. Esecutivo che vuole incassare la riforma per eccellenza che intende elevare il grado di democraticità delle istituzioni repubblicane anche a livello centrale: il premierato elettivo.

L’elezione diretta «consente – spiegava Grammatico – che la scelta scaturisca da un giudizio di qualificazione espresso dall’intero elettorato, che l’eletto, per il fatto che non possa essere revocato sfugga ai condizionamenti dei compromessi partitici e che il governo regionale abbia stabilità, unità e continuità nei suoi indirizzi per l’intera legislatura e possa governare all’insegna della programmazione».

Nato il 20 ottobre 1924, Dino Grammatico – proprio oggi – avrebbe compiuto cento anni. La cifra tonda consente di fare il punto sull’eredità non soltanto del parlamentare e dell’amministratore, ma anche del giornalista e del poeta che si firmava con lo pseudonimo Dino D’Erice. Il centro studi che porta il suo nome ha, infatti, organizzato un seminario celebrativo all’interno dell’Ars, il parlamento siciliano che lo ha visto per lungo tempo tra i protagonisti.

Un tavolo di lavoro convocato su iniziativa di Giuseppe Bica (parlamentare regionale di FdI) e Fabrizio Fonte (presidente del Centro Studi Grammatico e curatore di numerose opere dedicate all’esponente missino scomparso il 20 febbraio del 2007). Ex sindaco di Custonaci, il primo; sindaco attualmente in carica, il secondo. Entrambi hanno raccolto l’eredità amministrativa di chi ha favorito la crescita della filiera economica connessa all’estrazione e alla esportazione del particolare marmo locale.

«Un galantuomo della vecchia destra», così lo aveva definito Maurizio Barbato dalle colonne di Repubblica. Di lui, però, non restano soltanto il ricordo dei modi signorili, la spiccata militanza culturale e il rispetto degli avversari. Da giovane, sulla scorta degli eventi bellici e dell’occupazione alleata dell’Isola, aderì al fascismo clandestino pagando un prezzo altissimo. Ricorda Gianfranco Fini: «Era, se non ricordo male, il 1989. Fu allora che da alcuni amici seppi della condanna a 10 anni di carcere, di cui tre scontati, inflitta a Grammatico nel 1943 dall’Amgot. Dino non me ne aveva mai fatto cenno, nelle tante occasioni d’incontro. Non la considerava una benemerenza, ma solo un doveroso esempio di coerenza di cui non c’era motivo per vantarsi. E credo che ciò, per chi ha conosciuto il Msi degli anni 70 e 80, la dica lunga sulla personalità di un grande italiano».

Di Grammatico resta soprattutto il capitale d’iniziative realizzate a favore del tessuto siciliano. Da assessore del primo governo Milazzo, ha completato e attuato la fondamentale riforma agraria siciliana e varato lo strumento delle cantine sociali. La rivoluzionaria esperienza milazzista, però, non fu vista di buon occhio dai vertici nazionali del partito, che a livello romano stavano lavorando a quel processo di avvicinamento alla Dc, in alternativa alle sinistre, che si concluderà nel 1960 con la nascita del governo Tambroni.

Un percorso poi abortito traumaticamente sulla scorta delle violenze di piazza social-comuniste che favorirono l’avvento della cappa asfissiante ed escludente dell’arco costituzionale e la sterilizzazione del progetto di dar vita a un centrodestra d’ispirazione democratica e conservatrice con trent’anni d’anticipo rispetto al berlusconismo. Il centrosinistra nacque così, all’interno di una dinamica, non priva di ambiguità, stranamente poco indagata dagli storici contemporanei.

Quella medesima formula era stata sperimentata, per prima, nel laboratorio politico siciliano con gli effetti negativi che Grammatico denunciò con coraggio: l’esplosione del debito pubblico, sulla scorta di una spesa pubblica incontrollata, e l’avvio di un clima che ha consentito la commistione opaca tra la malapolitica regionale e gli interessi della criminalità organizzata. Dato fondamentale: quando era al vertice dell’assessorato all’Agricoltura, Grammatico favorì l’avvio della prima vera inchiesta antimafia della storia dell’Autonomia siciliana, la cosiddetta «inchiesta Merra», nata per venire a capo di un inquietante circolo speculativo: l’acquisto di terreni da parte di mafiosi, che poi venivano rivenduti alla Regione a prezzi notevolmente aumentati, per poi darli in uso ai contadini.

Dino Grammatico fu un innovatore e un visionario, capace di scorgere in anticipo i fenomeni politici e sociali non soltanto siciliani. Un uomo di cultura che ha diretto l’Istituto siciliano di studi politici ed economici (Isspe) e fondato la rivista di approfondimento Rassegna siciliana. Ma fu un uomo soprattutto umile. Ecco la vera eredità a cui attingere e, allo stesso tempo, preservare: «Di me si è parlato di un politico illuminato – aveva detto di sé – mi sembra un po’ troppo. Direi un politico appassionato, uno che ha fatto politica con fede, con idealità, guardando sempre e soprattutto alla politica con la P maiuscola».

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