Caso Cucchi: due carabinieri rinunciano alla prescrizione, la sfida della verità al processo d’Appello
Nuovo capitolo nel caso Cucchi. In un processo che ha ormai segnato una ferita profonda nella storia recente della giustizia italiana, due carabinieri imputati nel caso dei depistaggi legati alla morte di Stefano Cucchi hanno fatto una scelta che, al di là delle implicazioni giuridiche, appare come un segnale di responsabilità e potrebbe fare chiarezza una volta per tutte: i militari Francesco Di Sano e Massimiliano Colombo Labriola hanno rinunciato alla prescrizione.
«Accettare la prescrizione sarebbe potuto sembrare equivoco» ha dichiarato all’Adnkronos il legale dei due carabinieri, Giorgio Carta, aggiungendo che i suoi assistiti sono certi della loro innocenza e decisi a dimostrarla. Questo processo, che si aprirà il 16 dicembre, ruota attorno ai depistaggi avvenuti subito dopo la morte di Stefano Cucchi. Le accuse che gravano sugli imputati parlano di falsi, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia, crimini che sarebbero stati commessi nel tentativo di coprire le responsabilità dei carabinieri coinvolti nel pestaggio che causò la morte del giovane detenuto romano.
Ma le indagini, come sottolineato dal giudice Roberto Nespeca nella sentenza di primo grado, non si fermano qui: «L’ampia istruttoria dibattimentale ha permesso di ricostruire i fatti contestati e di accertare un’attività di sviamento posta in essere nell’immediatezza della morte di Stefano Cucchi, volta, ad allontanare i sospetti che ricadevano sui carabinieri per evitare le possibili ricadute sul vertice di comando del territorio capitolino». Vi sarebbero stati ulteriori tentativi di sviamento anche durante le indagini del 2015, finalizzati a coprire le falsificazioni del 2009 (coinvolgenti il Comandante del Gruppo di allora, il Colonnello Alessandro Casarsa e il suo più stretto collaboratore, il tenente Francesco Cavallo in servizio in quel momento presso il Comando Provinciale di Roma, contiguo all’ufficio del Comandante del Reparto Operativo, Colonnello Lorenzo Sabatino). «Considerata la qualità dei protagonisti e dei rapporti tra alcuni di loro, e che i fatti risalenti al 2018, nel corso del dibattimento del cosiddetto Cucchi bis, avessero lo scopo di svilire la credibilità di Riccardo Casamassima, teste rilevante per l’ipotesi accusatoria», ha concluso il giudice.
Inoltre, nel processo nato dall’inchiesta del pm Giovanni Musarò, il 7 aprile 2022 erano stati condannati tutti gli otto carabinieri imputati: a 5 anni il generale Alessandro Casarsa, 4 anni per Francesco Cavallo e Luciano Soligo, 2 anni e mezzo per Luca De Cianni, un anno e 9 mesi per Tiziano Testarmata, un anno e 3 mesi per Francesco Di Sano, un anno e tre mesi per Lorenzo Sabatino e un anno e nove mesi per Massimiliano Colombo Labriola. Le accuse contestate agli otto militari dell’Arma, a vario titolo e a seconda delle posizioni, vanno dal falso, al favoreggiamento, all’omessa denuncia e calunnia.
Il fatto che Di Sano e Colombo Labriola abbiano scelto di affrontare il giudizio senza avvalersi della prescrizione potrebbe aprire un nuovo capitolo, forse l’ultimo, di questa lunga vicenda. Resta inoltre da vedere se altri seguiranno il loro esempio. Lorenzo Sabatino, altro carabiniere coinvolto, non ha ancora deciso se rinunciare alla prescrizione, ma annuncerà la sua scelta prima dell’inizio del processo, secondo quanto detto dal suo difensore in aula.
Nel frattempo, un altro colpo di scena ha segnato il processo: la famiglia di Stefano Cucchi, rappresentata dalla sorella Ilaria e dal padre, ha revocato la costituzione di parte civile nel procedimento. La scelta dei carabinieri Di Sano e Colombo Labriola lascia comunque aperto uno spiraglio: il desiderio di affrontare il giudizio senza ripari sembra una dichiarazione di voler uscire puliti da una vicenda che ha macchiato l’onore dell’Arma.
Le risposte sono ancora lontane, ma una cosa è certa: questa decisione dei carabinieri di non nascondersi dietro la prescrizione rappresenta, per quanto possibile, una presa di coscienza che cambia il ritmo del processo. Un atto che, in un caso così emblematico per la giustizia italiana, non può passare inosservato.