Conversazioni secolari. Scianca: “Nei miei podcast la storia del ‘900 oltre le vecchie categorie”

20 Ott 2024 13:30 - di Lorenzo Cafarchio

Europa, identità, sacralità, eroticamente corretto, populismo potremmo andare avanti perché sono decine e decine gli argomenti che nel corso della sua produzione saggistica e giornalistica Adriano Scianca ha toccato. Direttore de Il Primato Nazionale, penna de La Verità, ha collaborato con svariate testate, compresa la nostra, e pubblicato libri che hanno creato un immaginario vivido e reale per almeno una generazione di uomini e donne abituati a fare politica fuori da ogni schema precostituito. In queste ultime settimana la sua attività principalmente ruota attorno al podcast Lo scandalo di Notre-Dame, che potete trovare sul sito del quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, così lo abbiamo intervistato per metterei i punti sulle i su tutti quei temi che gli intellettuali di destra spesso ignorano.

Scianca, prima di entrare tra le pieghe del suo ultimo podcast, facciamo un passo indietro. Europa vs Occidente, l’ultimo libro pubblicato, è la voglia di essere altro rispetto a Washington e Mosca…

«Un pamphlet veloce, scritto per contrastare alcune derive in corso nell’ambiente non conforme, peraltro non solo italiano, se è vero che il testo è piaciuto anche fuori dai nostri confini: è già uscita una traduzione francese, ne è appena stata pubblicata una in spagnolo e il testo ha suscitato attenzione anche in Portogallo. Il concetto di base è semplice. Quando alcuni teorici del passato, da Thiriart a Faye, hanno cominciato a prendere le distanze dal concetto di Occidente lo hanno fatto valorizzando quello di Europa. L’antioccidentalismo sganciato dall’europeismo identitario, o, che è lo stesso, agganciato a un europeismo astratto e irrintracciabile (la “nostra Europa” che non potrà mai tradursi in realtà) diventa un’ideologia che porta in vicoli ciechi».

Come è arrivato ai podcast? Prima Strani Incontri e ora Lo scandalo di Notre-Dame…

«L’opportunità di cimentarmi con un podcast è arrivata lavorando a La Verità, che già da tempo aveva avviato diversi progetti in tal senso nella sua piattaforma digitale. I due podcast seguono comunque uno stesso fil rouge: la volontà di raccontare la storia culturale del Novecento (e non solo) attraverso la rimessa in discussione delle categorie consolidate. Strani incontri prevedeva per ogni puntata una coppia di personaggi, molto diversi fra loro: un grande nome della cultura non conforme e un’altra personalità proveniente da lidi lontanissimi. Lo scandalo di Notre-Dame nasce dalla volontà di raccontare la parabola di quel mondo che prima si chiamò lettrismo e poi situazionismo, illuminando gli angoli meno noti e più eterodossi di questa storia. Raccontare che Drieu La Rochelle era amico di Jacque Lacan, come ho fatto in Strani incontri, non è molto diverso dal narrare come la stagione situazionista sia stata avviata dal gesto nietzscheano di un ex seguace di Doriot e Maurras. Michel Mourre, l’uomo che il giorno di Pasqua del 1950 entrerà a Notre-Dame vestito da frate, proclamando la morte di Dio, e di cui narro la storia nel podcast, è una figura completamente dimenticata, quanto interessante (sia pur talvolta insopportabile, con le sue svolte sofferte e i suoi dilemmi morali)».

In quest’ultimo racconto analizza le avanguardie europee all’indomani del 1945. Da dove nasce questo interesse?

«Ho sempre trovato interessante il situazionismo, pur con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, sia per le sue conquiste teoriche, sia per le storie bizzarre del suo ambiente umano. Approfondendolo per costruire il podcast ho scoperto ulteriori fattori di interesse, come per esempio l’attrazione che Debord e sodali avevano per le leggende del Graal. Io credo che il Novecento sia attraversato da correnti vitaliste continue, che dopo il 1945 sono per forza di cose finite quasi tutte a sinistra, ma che molte volte hanno espresso la stessa tensione ribellistica che prima di tale data ha portato i giovani a fare tutt’altre scelte. Questo non vuol dire che il marxismo che, dalla fine degli anni Cinquanta, i situazionisti assumono come bussola teorica, fosse solo una patina superficiale. E infatti spesso l’istinto vitalista e le costruzioni ideologiche finiscono per cozzare, come vediamo nei costanti richiami all’ordine cui i capi situazionisti sono costretti».

Michel Mourre, lettristi, Tour Eiffel da abbattere, gioventù turbolenti: il tutto mosso da un sentimento che non pare lontano da certe suggestioni politicamente scorrette. La Francia che racconta nella sua narrazione respira la stessa aria di Rebatet…

«In effetti, una delle cose più interessanti che emergono dalla mia ricerca è questa. Delle origini politiche del lettrista Mourre abbiamo detto. Ma che dire dei suoi sodali – peraltro di origine ebraica – che fanno affissioni di volantini contro la cultura della Resistenza, o delle manifestazioni di solidarietà a Céline? Uno dei principali interlocutori di quel mondo è Louis Pauwels, che in seguito troveremo come coautore del controverso Il mattino dei maghi e poi come sodale di Alain de Benoist. Mourre attirerà l’attenzione del giovane François Truffaut, che proverà per lui, dicono i biografi, la stessa simpatia che all’epoca provava per il maresciallo Pétain… Insomma, di particolari che sfuggono a una narrazione addomesticata ce ne sono».

Infine approdiamo al situazionismo. Guy Debord nel suo essere lucido visionario ha tenuto a battesimo le rivolte degli anni ’60. Cosa resta di quell’epoca?

«Debord denunciava la società dello spettacolo, ma ha avuto successo soprattutto in essa. Dal situazionismo sono stati influenzati artisti, registi, operatori dell’informazione, della tv, della cultura, tutta gente ben insediata nel mainstream. Questa è la vittoria e la sconfitta del situazionismo allo stesso tempo. Oggi quando diciamo che qualcosa è “situazionista” intendiamo identificare un evento che rompe la monotonia del racconto mediatico, ma così facendo lo rafforza, lo alimenta. È una irregolarità che fa funzionare il meccanismo. Difficile vedere in tutto ciò una vittoria di Debord. Si è peraltro perso tutto l’altro aspetto del situazionismo, che si chiama così perché vuole creare delle “situazioni”, cioè, per farla breve, altri modi concreti di vivere. Il libro La società dello spettacolo è il frutto tardivo di un’avanguardia che per lo più ha fatto altro, ha cercato di riportare nel grigio delle città una mitologia e un senso dell’avventura. Credo che questo lascito dimenticato sia la parte più interessante e attuale del situazionismo».

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