Il libro. Costretto a sanguinare: la lotta contro “l’ospizio occidentale” di Eduard Limonov
Ci sono musiche che non si spengono con la morte. La ballata di Eduard Limonov è una di queste. Agitato e agitatore nella sua esistenza è passato attraverso la delinquenza comune, il lavoro in fabbrica, l’esilio dall’URSS partendo da Dzeržinsk sul Volga per approdare negli Stati Uniti d’America. E qui il vagabondaggio, la vita nelle strade di New York diventando poi maggiordomo di un miliardario statunitense, ma più di ogni altra cosa la scrittura. Eduard Veniaminovič Savenko, ecco il suo vero nome, nato nel 1943 ha attraversato gli anni ‘60 e ‘70 come un proiettile che spappola la carne, ma lascia intatto l’osso. Ti disorienta, ti fa stramazzare al suolo dimostrandoti di essere vivo. Gli anni ‘80 si aprono con il suo arrivo a Parigi e qui inizia a conoscere la fama letteraria. Il poeta russo preferisce i grandi negri, Diario di un fallito, Eddy-baby ti amo questi alcuni dei suoi testi più celebri. Poi ci saranno i ‘90. Nel documentario Serbian Epics, di Pawlikowski e Stojanovic del 1992, lo troviamo fucile in mano intento a sparare verso Sarajevo durante la guerra dei Balcani fianco a fianco con le Tigri di Arkan.
Poi? Poi il ritorno in Russia dopo la caduta dell’Unione Sovietica dove nel 1993 fonda assieme ad Aleksandr Dugin il Partito Nazional Bolscevico sciolto nel 2007. Non mancherà neanche il carcere, sperimentato a più riprese sotto il vecchio e il nuovo regime russo, in una miscela di idee esplosive e pervasive che nei giorni della morte, avvenuta il 17 marzo 2020, spingeranno il giornalista Yurii Colombo a scrivere che Limonov “mescolò Julius Evola e Lenin, Drieu la Rochelle e Gorky”. La fama, lo sappiamo principalmente in Italia, l’ha raggiunta a seguito della biografia romanzata, nella nostra nazione pubblicata per i tipi di Adelphi, scritta da Emmanuel Carrère. Ora al cinema è sbarcata nelle sale italiane la pellicola diretta da Kirill Serebrennikov, intitolata semplicemente Limonov, in cui il nostro protagonista è interpretato dall’attore Ben Whishaw. Il poeta russo non ha mai apprezzato il testo che Carrère gli ha dedicato e per conoscere meglio l’autore cosa c’è di meglio che immergersi nella sua produzione? Lo scorso anno, per conto della casa editrice Bietti e inserito nella collana l’Archeometro, il vulcanico Andrea Lombardi ha curato il testo più politico e profetico scritto da Limonov ovvero Grande ospizio occidentale (240 pp.; 21,00€). Per gentile concessione dell’editore e del curatore proponiamo di seguito un estratto del volume.
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Il mio libro si basa su una metafora: equiparare la società “evoluta” a un Ospizio, i cui pazienti sono curati in un clima morbido, ma comunque disciplinare. Questa metafora intende creare il famoso effetto di “distanziamento”, affinché il lettore possa vedere il mondo che gli è familiare attraverso uno sguardo estraneo: il mio. Più cauta rispetto all’ingiusta identificazione di URSS e Gulag, l’assimilazione delle società europee (e di matrice europea) a un Ospizio mi è stata ispirata, devo confessarlo, da certe equivalenze sommarie: dato che si tirano continuamente in ballo le società-prigione e le società-lager, perché non parlare allora di società d’Ospizio? Uso termini francesi, o franglesi, perché sono costretto a farlo: avendo dovuto lasciare il mio Paese parecchi anni fa, ignoro del tutto la terminologia russa. Ammesso e non concesso che esista. Ne dubito. Il lettore non troverà nulla che già non conosca. Non ho fatto altro che mettere insieme elementi già noti. La sola cosa che conta è il punto di vista. Il mio. Non verrà dato troppo spazio alla polizia. Infatti, nei regimi dell’Ospizio, non polizieschi – è un punto su cui insisterò molto –, l’irreggimentazione è affare dell’Amministrazione, mentre la polizia vera e propria non è autonoma. Si può dire lo stesso degli intellettuali, derubricati dalla società mediatica.
Costoro non costituiscono più una forza indipendente. La funzione di produzione di opinioni prefabbricate è usurpata dai media. Oggi i pensatori non sono più i Voltaire o i Sartre, ma i PPDA e i Bernard Pivot. Gran parte degli intellettuali è riuscita a riciclarsi nella sfera dell’entertainment. Avendo scrupolosamente abdicato al proprio compito, formano un gruppo di privilegiati ausiliari, le cui pretese di avere la verità in tasca sono tanto grottesche quando l’idea di essere rivoluzionari. Quanto alla ramificazione dominante nell’ambito professionale, il comportamento sociale può essere ridotto a semplici archetipi. Ecco perché in questo libro uso concetti come “Popolo”, “Amministrazione”, “Malato ideale”, “Agitati”, “Vittime”, e non idee tipiche della sociologia, come “colletti blu” o “colletti bianchi”. La crescente uniformazione dei modi di vivere, dei gusti, dei bisogni e dei prodotti consumati spinge gruppi differenziati da professione, età, potere d’acquisto, eccetera, a convergere in un unico insieme sociopsicologico: il “Popolo”.
Ho volutamente rinunciato a individuare una “borghesia”, e uso poco il concetto di “classe media”: è ormai noto, infatti, come la mentalità e i comportamenti dell’operaio si distinguano poco, o per nulla, da quelli borghesi. Allo stesso modo, assegno ben poca importanza ai fittizi avversari del sistema dell’Ospizio. I sindacati, il Partito Comunista o i gruppi estremisti, tipo Action Directe, non contestano davvero i princìpi della civiltà dell’Ospizio, vale a dire Prosperità e Progresso. Si oppongono solo al sistema di ripartizione della ricchezza nazionale, proponendone un altro, ritenuto più giusto. In un certo senso, non vi sono opposizioni nell’Ospizio. Gli ecologisti e il Fronte Nazionale non si distinguono che per poche sfaccettature. La mia analisi parte dal mondo dell’Ospizio occidentale: la Francia, in cui risiedo, e gli Stati Uniti, dove ho vissuto per sei anni. Dedico parecchie pagine all’Europa orientale, molte meno alle zone esterne all’Ospizio, vale a dire i tre quarti del pianeta. Anzitutto perché la civiltà dell’Ospizio è nata dalla lotta dei due Blocchi contro il nazismo, e poi tra i due Blocchi stessi; in secondo luogo, poiché la mia attenzione è proporzionale all’interesse… sproporzionato dell’Occidente verso i Paesi dell’Est.
«Siamo ossessionati dall’Est» ha riconosciuto post factum un “alto funzionario statale” come Edgar Pisani. «Le nostre relazioni con il Sud sono molto più importanti per noi… Eppure, i rapporti con l’Est non sono un problema strategico, ma economicoculturale». È sempre stato lampante che sono solo criteri economici quantitativi a separare i due mondi (la cultura di Tolstoj, Cechov e Solgenitsin è anche quella di Stendhal, Flaubert e Camus). Il narcisismo e la leggerezza dell’Occidente, la sua necessità di confrontarsi con un Nemico Assoluto, creato pezzo per pezzo – ecco cosa gli ha impedito di riconoscere il proprio fratello gemello. Il Nemico Assoluto è necessario alla salute interna dell’Occidente. Permette di mantenere i cittadini in una docile sottomissione, evacuando all’esterno l’odio e l’aggressività. In mancanza di un Nemico (o, meglio, dell’idea di un nemico, dato che lo scontro reale non è affatto auspicato), la civiltà dell’Ospizio perde la sicurezza del proprio perpetuarsi, definendosi ex negativo e condannando moralmente l’avversario.
Questo libro contiene pagine poco lusinghiere nei confronti del Popolo. Prima o poi qualcuno doveva pur farlo. Da troppo tempo il Popolo beneficia di privilegi esorbitanti, dichiarandosi vittima delle Amministrazioni di cui in realtà è complice e con cui spartisce i guadagni. Gli Amministratori ne conoscono la vera natura, profondamente ipocrita, ma preferiscono mantenere il silenzio, per salvaguardare il mito di cattive Amministrazioni (opposte ai Popoli, invariabilmente buoni e innocenti) e mantenere la possibilità di sedurre il Popolo con una “buona” Amministrazione. Credo che insorgere contro la dittatura del Popolo sia oggi un atto tanto nobile quanto lo fu, duecento anni fa, sollevarsi contro l’Assolutismo.