La nuova Europa della Cultura? Incomincia dal ritorno ad Atene dei marmi del Partenone
L’Europa è modernissima e antica al tempo stesso. Non Occidente, ma Europa; non Ue, ma Europa; non atlantismo globalista, ma Europa. Lo stesso nome di per sé è un richiamo alla nostra storia (ometastoria), poiché è quello della mitica principessa Europa, figlia di Agenore, re di Tiro, che Zeus, celatosi sotto le sembianze di un bianco toro, portò con sé a Creta dalle coste del Libano. Non si può, dunque, parlare di Europa se si prescinde dalla Grecia (che pur nel recente triste passato di qualche anno fa è stata vittima di un’Unione europea aguzzina e accecata dalle politiche del rigore finanziario). Ed è dalla cultura greca – insieme a quella romana – che occorre riprendere il filo di una nuova visione mediterranea ed europea, che fondi la propria attualità in quella ricchissima koiné culturale che ha le proprie radici proprio nell’universalità del Mito e della Tradizione.
Un tema da cui non ci si può sottrarre, se si vuole parlare di un’Europa della cultura, è quello del ritorno in patria dei marmi del Partenone, asportati nei primi dell’Ottocento sotto la dominazione ottomana, portati a Londra da Lord Elgin per essere poi venduti al governo britannico e infine esposti al British Museum. Si tratta di ben 56 bassorilievi di marmo pentelico, 15 metope e 12 statue, oltre a una delle sei cariatidi che sostengono il peso della loggia dell’Eretteo, il tempio dedicato ad Atena nel cuore dell’Acropoli ateniese: una “ferita culturale” ancora aperta.
Archeologia e mito dell’antichità europea dietro i marmi del Partenone
A ben guardare, se i marmi realizzati da Fidia tornassero ad Atene, allora sì che si potrebbe incominciare a scrivere una nuova pagina del Continente Europa, fondata sul principio che il patrimonio culturale, testimonianza di identità, storia e spiritualità, non debba essere considerato un fattore che divide, ma uno straordinario collante che attraversa i secoli e irrompe nell’attualità con tutta la sua straordinaria carica rivoluzionaria. Che i beni culturali e i reperti archeologici, per una loro lettura più consona e corretta, debbano essere custoditi ed esposti nei luoghi di origine, ove ciò sia possibile e laddove le norme internazionali lo consentano, del resto è un orientamento che sta finalmente prendendo piede e trova consenso fra studiosi e archeologi. Alla base di ciò, per quanto concerne l’Europa, c’è un elemento in più: l’idea forte che la Cultura e il Mito possono davvero costituire il fondamento e le fondamenta di una rinnovata unità fra i popoli, fra genti diverse, ma accomunate da un destino e da una storia comuni.
L’importanza del ritorno dei marmi del Partenone
Che i tempi siano maturi perché questa aspirazione divenga realtà è confermato anche dal fatto che, quando su nostra iniziativa, nel gennaio del 2022, dopo oltre duecento anni, la Sicilia – facendo da apripista a livello mondiale sul tema del rientro in Grecia dei marmi del Partenone – riportò ad Atene il cosiddetto “Frammento Fagan”, da quel momento l’opinione pubblica internazionale si è risvegliata e dopo molte titubanze e difficoltà, adesso anche da parte inglese l’orientamento sta cambiando rispetto alla totale chiusura del passato.
L’operazione, dall’alto valore simbolico e politico, è stata del resto il primo esempio di ritorno di un frammento del Partenone nel suo luogo di provenienza: il reperto, appartenente al fregio orientale del Partenone e raffigurante un piede di Artemide, custodito dal 1820 al Museo Salinas (già Museo dell’Università) di Palermo, perché parte della collezione archeologica dell’allora console inglese Robert Fagan, da oltre due anni e mezzo è stato finalmente trasportato al Museo dell’Acropoli e ricongiunto definitivamente al Fregio di Fidia, la monumentale opera d’arte da cui era stato strappato oltre due secoli prima ed esposta oggi nel formidabile allestimento del celebre museo ateniese.
Politica e cultura dietro la restituzione dei reperti
È stato, dunque, proprio grazie al gesto siciliano che il dibattito, scientifico ma anche politico, sulla restituzione dei marmi del Partenone, ha subito un forte impulso in questa direzione: a maggio del 2022, infatti, se ne è parlato nel corso della riunione Unesco tenutasi a Parigi, e nel marzo dello scorso anno, per volontà di Papa Francesco, tre reperti, che erano stati acquistati regolarmente nel XIX secolo dai Musei Vaticani, sono tornati ad Atene, pure questi finalmente ricongiunti al fregio originario da cui erano stati asportati nei primi dell’Ottocento. Inoltre, il 29 settembre 2021, mentre l’accordo fra la Sicilia e la Grecia per il “reperto Fagan” era già praticamente concluso, grazie all’intesa fra i due governi e tra il Museo Salinas (allora diretto da Caterina Greco) e il Museo dell’Acropoli di Atene (che ha per direttore Nikolaos Stampolidis), la Commissione Intergovernativa dell’Unesco per la Promozione della Restituzione dei Beni Culturali ai Paesi d’Origine (Icprcp), con straordinario tempismo, invitava “il Regno Unito affinché riconsiderasse la sua posizione e procedesse in un dialogo in buona fede con la Grecia”.
Gelo e disgelo culturale tra Regno Unito e Grecia
Nonostante queste azioni di diplomazia fra governi e istituzioni museali e la crescente mobilitazione mondiale, in un primo tempo gli inglesi erano rimasti rigidamente fermi nelle loro convinzioni, coperti anche da una legge del Regno Unito del 1963 che vieta la restituzione alla Grecia. Il gelo fra le due Nazioni era arrivato al punto che nel novembre del 2023 si era addirittura consumato uno scontro diplomatico tra il premier greco Kyriakos Mitsotakis e l’allora primo ministro britannico Rishi Sunak. Le posizioni, però, recentemente si sono di molto ammorbidite, tanto che due mesi e mezzo fa il ministro delle Industrie Creative e delle Arti del Regno Unito, Sir Christopher John Bryant, destando l’interesse dei media di mezzo mondo, ha elogiato la “partnership costruttiva” che sarebbe in atto tra il presidente del museo londinese George Osborne e il governo ellenico.
Una buona notizia, si spera, all’orizzonte, perché la via maestra, in un mondo di lacerazioni e di conflitti, è proprio la collaborazione e la cooperazione internazionale nel nome della Cultura, che da sempre reca con sé un messaggio di dialogo e di pace. Una visione che non può e non deve tramontare, ma che è il futuro, perché ha quale faro il patrimonio culturale, che, come detto, unisce, poiché appartiene a tutti noi ed è in grado di fornire nuova energia al principio di autodeterminazione dei popoli e delle nazioni.