L’Italia è tornata ad attrarre investitori: così si misurano il valore reale del Paese e i meriti del governo
Domande. Come quelle che l’intelligenza artificiale non si pone, perché fornisce solo risposte indotte, come ha ricordato da ultimo a New York il nostro presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, in occasione della sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu a settembre. Ma anche come i dubbi che suscitano le minoranze in Parlamento che non riconoscono il merito del governo Meloni per l’investimento di 4,3 miliardi di dollari in Italia del colosso Microsoft. Perché? “Investiamo in Italia perché nel Paese c’è molto talento”, ha dichiarato Brad Smith, vicepresidente della multinazionale statunitense, perché da noi ora vale la pena investire in know how e creazione di competenze. Un progetto che impegnerà l’intera catena di approvvigionamenti in questa nostra penisola ormai riconosciuta a livello internazionale come l’unico ponte verso Africa e Mediterraneo.
Perché dunque in Italia e non in Francia o in Spagna, tanto meno in Grecia, Paesi dell’Unione europea anch’essi affacciati sulle sponde del Mare Nostrum? Questa volta lo ha spiegato egregiamente nei giorni scorsi Roberto Napoletano sulle pagine del suo Mattino. Perché a livello internazionale ancora si usano due pesi e due misure. Mentre la Francia annaspa da decenni sia sul versante della stabilità politica che su quello finanziario, avvantaggiandosi di una lettura artificiale, questa volta sì, delle agenzie di rating internazionale, l’economia reale dell’Italia, penalizzata nei parametri formali, da due anni cresce, attraendo investitori internazionali.
Ecco perché. Perché malgrado le strumentalizzazioni e i tentativi di distrarre l’attenzione da politiche virtuose del governo attraverso slogan e proclami infondati, il valore reale dell’Italia governata dal centrodestra oggi è questo. Onestà intellettuale dovrebbe imporre alle minoranze di riconoscerlo. Sporadicamente emerge, senza partigianeria, ma con coraggio, dai dibattiti parlamentari. Lo ha fatto Elena Bonetti, apprezzando la giusta posizione del presidente Meloni in politica estera – pur non condividendo la scelta di non votare Ursula von der Leyen – e le misure chiave, come la certificazione per la parità di genere per imprese e lavoro, fatta al G7 dal presidente del Consiglio Meloni.
Raccontare buone notizie come tali, obiettivamente, e non rileggerle alla luce della bandiera di partito, gioverebbe anche alla dialettica politica, soprattutto in un momento in cui non tanto il mondo, ma soprattutto l’Europa è sempre più scossa da due conflitti tragici. E non è un caso che siano entrambi deflagrati alle porte dell’Unione europea, percepita sempre di più come un gigante dai piedi di argilla. Alimentare la polemica sterile, infondata con il governo su materie in cui, dati alla mano, non appare giustificata, è una scelta che non paga, come dimostrano anche i sondaggi. E manifesta, davvero, scarsa intelligenza politica.
(*Università Lumsa)