“Perché l’Italia è (sempre stata) di destra”: la storia del dopoguerra ricostruita da Italo Bocchino
Il libro appena edito da Solferino, Perché l’Italia è di destra, autore Italo Bocchino, politico di lungo corso, popolare oggi per il suo ruolo di opinionista nei vari talk, chiarisce finalmente, una volta per tutte, con dovizia di dati, motivazioni ben documentate, un linguaggio nitido, mai banale e con assoluta onestà intellettuale, la fondamentale, genetica quasi, aderenza degli italiani, elettori e non, al modello culturale incarnato dalla destra. Una destra moderna, conservatrice certo, ma non passatista, bensì orientata verso un futuro che intende disegnare in un arco di tempo che comprenda l’attuale legislatura e presumibilmente anche la prossima: un disegno perciò di vasto respiro, affine a quello che la Dc, reale progenitrice di questa destra, con tutte le varie anime al proprio interno che rispondevano alle più diverse esigenze sociali, riuscì a realizzare, in un contesto storico-politico ben diverso, nei cinquant’anni seguiti al dopoguerra.
Il libro di Bocchino e il dna di una destra moderna
Ho usato volutamente l’espressione modello culturale, perché l’accusa che viene più frequentemente, direi quasi esclusivamente, rivolta alla destra, è quella di non possedere una cultura propria, ma di essere l’erede diretta del fascismo, arrivando addirittura, come nel caso della querelle Canfora-Meloni, a ipotizzare la presenza di venature naziste nella primapPresidente donna della nostra storia. Prima però di proseguire l’analisi del volume, devo fare una “autocertificazione di appartenenza…”. Nel corso dell’incontro, tenutosi alla Gnam nei giorni scorsi, in cui è stato presentato il libro – intervistatrice Hoara Borselli, intervistati il presidente del Senato La Russa e il politologo Sadun Bordoni, ordinario di Filosofia del Diritto, non solo molto preparato, ma anche pacatamente efficace – l’autore ha proposto che, ogni qual volta si svolge un dibattito politico televisivo, i partecipanti debbano dichiarare esplicitamente la propria appartenenza politica, così da consentire agli ascoltatori di contestualizzare la portata delle loro affermazioni. Ha citato anche Mieli il quale invece propone che si riveli l’entità del gettone percepito, ma questo aprirebbe un capitolo inquietante, sia sulla consistenza etica degli opinionisti, sia sulle modalità di reclutamento degli stessi da parte delle emittenti, pubbliche o private che siano.
Da uomo di sinistra apprezzo il volume
Quella di Bocchino mi sembra una proposta del tutto condivisibile, utile a evitare equivoci e a impedire il contrabbando di idee di parte, fatte passare come verità assolute, oggettive. Ebbene, io devo dichiarare che non sono e non sono mai stato di destra, nel senso che non ho mai appoggiato o votato partiti di destra. Nel corso della mia, ormai lunga, esistenza mi sono considerato, e ho agito conseguentemente, un uomo di sinistra e, data la mia, prima concorrente, poi prevalente, attività di operatore culturale, un cosiddetto intellettuale di sinistra (mai però un intellò…, nell’icastica accezione utilizzata dallo stesso Bocchino). Negli anni Settanta, a Messina dove allora vivevo, ho anche fondato, insieme con altri amici, in tutto 144, un movimento politico di indipendenti di sinistra, il cui nome era, sorprendentemente, “PD”… L’acronimo non significava però “Partito Democratico”, bensì “Partecipazione Democratica”, intendendo con ciò sottolineare l’apertura programmatica del movimento alle varie espressioni della società civile. Un po’ quello che più di cinquant’anni dopo avrebbe tentato di fare Renzi, il più geniale politico che la sinistra abbia espresso negli ultimi trent’anni, puntualmente “cecchinato” dai suoi stessi compagni, secondo la suicida abitudine, che anche Bocchino registra, del partito ultimo erede del Pci.
Referendum sul divorzio, “ecco perché votammo no”
Poche parole su quel numero che forse incuriosirà il lettore: quando ci fu il referendum per il divorzio, riunii intorno a me, che oltre a essere un manager pubblico, dirigevo il “Teatro Struttura” di Messina, quasi tutti gli esponenti della borghesia colta cittadina, docenti universitari, notai, avvocati, medici, artisti, giornalisti, dirigenti, etc. Scrissi un appello dal titolo “Perché votiamo No”, il modo cioè per far passare il divorzio, dato che il referendum era, com’è noto, abrogativo della legge che l’aveva istituito. Lo feci pubblicare, sottoscritto dai 144 (con, accanto alla firma, l’indicazione della professione) sull’unico quotidiano locale, la “Gazzetta del Sud”, di proprietà di un ricco industriale monarchico, naturalmente schierato per il “Sì”. Il denaro necessario per acquistare mezza pagina del giornale ci fu dato dal Pci attraverso l’Istituto Gramsci, il cui direttore, un noto storico, venne personalmente a portarcelo, in contanti, da Roma. Il giorno dopo l’uscita del nostro appello, il proprietario-editore fece pubblicare, con la stessa impaginazione, un controappello dal titolo “Perché votiamo Sì”, sottoscritto esattamente da 144 elettori che si qualificavano come artigiano, contadino, disoccupato, muratore, etc., volendo con questa astuzia retorica sottolineare che il popolo, quello vero, stava con la destra, mentre la sinistra era formata prevalentemente da borghesi ricchi. Come si vede, la metamorfosi strutturale del partito dei lavoratori e il suo distacco dalla base ha origini lontane…
La nascita e il percorso di Pd, Partecipazione Democratica
Una volta vinto il referendum, decidemmo di rimanere insieme e fondammo appunto il movimento di cui ho detto che, negli anni migliori, arrivò ad avere due consiglieri comunali, uno provinciale e uno regionale. Il Pci caldeggiava la formazione di liste come la nostra, per attirare il voto dei “benpensanti” che non se la sentivano di votare direttamente il partito e si opponevano alla Dc che era, allora, soprattutto in Sicilia, anche il partito del malaffare. Ne fu presentata una anche a Palermo, dove fu eletto lo scrittore Sciascia, il quale però si dimise quasi subito da consigliere comunale, avendo capito che, finita la fase di “cattura del consenso”, il Pci poi non concedeva alcuna autonomia agli indipendenti. Rimaneva la diffidenza verso una categoria di borghesi che invece di iscriversi semplicemente al grande partito, riteneva di doversi distinguere su alcuni punti cruciali (il rapporto con l’Urss, e di questo con i cosiddetti paesi satelliti, la non accettazione supina della “linea” del partito, e così via). La nostra “Partecipazione Democratica” sopravvisse a lungo (non so se esista tuttora) perché avevamo la presunzione (l’arroganza anche, pari se non superiore a quella dei dirigenti comunisti…) di poter condizionare noi il Pci, almeno per quel che riguardava la politica locale, cosa che riuscivamo a fare puntualmente, con grande irritazione dei vertici nazionali, l’isterismo di quelli cittadini e qualche problema per l’inventore del modello, un “comunista illuminato”, come lo definivo io, Pancrazio De Pasquale, primo presidente comunista dell’Assemblea Regionale Siciliana, il quale più volte fu richiamato dalla segreteria centrale per il suo atteggiamento troppo aperturista…
Un’opera trasparente, priva di ipocrisie
Ho ritenuto di fare questa lunga digressione per chiarire che, se nel prosieguo di quel che scriverò, non sarò ingeneroso di elogi nei confronti dell’autore del libro, ciò non avverrà per … complicità politica, ma per sincera convinzione di lettore e di critico. Tornando perciò al volume, una sua qualità indiscussa è l’assenza di ipocrisie, né quelle per così dire di fondo, volte a sottacere aspetti imbarazzanti della propria vicenda politica o di quella del partito, né quelle tattiche, estemporanee, utili a sottrarsi a domande insidiose. Bocchino non ha alcun timore ad affrontare anche i temi più scabrosi e fornire una spiegazione che può convincere o meno, ma ha comunque il dono della trasparenza. È così nel caso della persistenza dei legami col fascismo da parte dei fondatori del Msi, tutti ex repubblichini, come in quello degli errori commessi da Alleanza nazionale, della quale egli stesso è stato esponente di spicco. Vi è infine una presa di distanza definitiva, senza tentennamenti, senza “se e senza ma”, come certa sinistra priva di argomenti continua a pretendere, dal fascismo, dai suoi errori, eccessi, misfatti, ma anche dalla sua ideologia.
Le accuse pigre della sinistra di mistificazione
A neppure un giorno dall’uscita è esplosa la canea dei giornalisti e opinionisti di sinistra, concentrati soprattutto sulla ricostruzione che Bocchino fa del periodo postbellico e in particolare per aver collocato a destra uno statista come De Gasperi, mutuando una valutazione fatta dall’ex ministro (crocifisso per amore…) Sangiuliano. È stato accusato di mistificazione, di appropriazione indebita…, di semplicismo storiografico. Bocchino non ha fatto una ricostruzione semplicistica, ma un ragionamento molto semplice che tutti, e non soltanto gli eburnei addetti ai lavori, potessero comprendere. Nel ’48 si creò una contrapposizione netta fra il Fronte popolare, la cui forza maggioritaria era il Pci di Togliatti, perciò un blocco dichiaratamente di sinistra, e tutti gli altri, radunati intorno alla Dc degasperiana. Come vogliamo chiamare questo coacervo che si opponeva alla sinistra? Di centro? Di centrodestra? Si rischia di cadere nel più sterile nominalismo. La verità, indiscutibile, su cui si fonda la narrazione storica di Bocchino, è che nei tre momenti cruciali in cui gli elettori italiani sono stati chiamati a fare scelte fondamentali, nel ’48 appunto, nel ’94 e nel 2022, hanno votato contro la sinistra. Se non sorprende la reazione, a volte scomposta, degli opinion makers oppositori della premier Meloni, di cui Bocchino traccia un esaltante profilo, umano e politico, che seppur di parte, non è “impugnabile”, date le… inoppugnabili argomentazioni, non mi sarei aspettato francamente un giudizio a caldo, così pregiudizialmente ostile e anche pieno di sufficienza, da parte di un intellettuale considerato il nostro massimo esperto di geopolitica, fra l’altro sempre molto controllato nei suoi interventi televisivi, come Lucio Caracciolo, il quale si è limitato a dire, con atteggiamento volutamente snobistico: “non ho letto il libro e neppure l’ho scritto”. Mi ha ricordato un’analoga sortita, tanto boriosa quanto inutile, di un famoso critico letterario (sempre di sinistra) che, all’uscita del romanzo di D’Arrigo, Horcynus Orca, scrisse: “non l’ho letto e non mi piace”.
L’atteggiamento snobistico di Lucio Caracciolo
A proposito di Caracciolo, spesso una visione troppo ampia e uno sguardo troppo lungo impediscono di cogliere la brutale semplicità dei fatti concreti. Dovrebbe sempre tenere a mente le auree parole del Bardo “There are more things… Ci sono più cose fra il cielo e la terra che non nelle menti dei filosofi”, e perciò anche nell’ampia fronte di Caracciolo… Il quale, sere fa, durante la trasmissione “Otto e mezzo”, ha affermato che ormai è solo un gioco inutile continuare a parlare di “due Popoli, due Stati”, per la soluzione della questione palestinese. Non ha aggiunto però qual sarebbe l’alternativa. Qualche giorno dopo, sul “Corriere della Sera”, l’autorevole giornalista americano Tom Friedman sembra aver dato la risposta: “La gente pensa che l’alternativa ai due Stati sia uno Stato, ma l’alternativa è nessuno Stato. Si ammazzeranno e basta.” Tornando al libro di Bocchino, si divide sostanzialmente in tre parti, non trattate autonomamente, ma i cui fili si rintracciano con chiarezza nel corso della lettura. La prima è una puntuale ricostruzione, da un punto di vista naturalmente “altro” rispetto a quello della storiografia maggioritaria, dell’evoluzione del Partito della destra, dal Msi almirantiano, strettamente legato al passato fascista, a quell’Alleanza nazionale così battezzata da Fini, del quale Bocchino è stato il braccio destro, e che ha operato la coraggiosa svolta di Fiuggi, fino all’attuale Fratelli d’Italia che, con un exploit quasi inimmaginabile, ha portato al governo per la prima volta un presidente donna. Di destra.
Bocchino non esita a ripudiare i misfatti del fascismo
Bocchino non esita a ripudiare gli errori e i misfatti del fascismo, con parole chiare, quelle che la sinistra richiede ripetutamente ai propri avversari (malgrado non abbia mai ripudiato chiaramente i propri legami, anche finanziari, col comunismo sovietico): “Il giudizio sul fascismo non può che essere negativo e accomuna tutta la destra… L’approvazione delle leggi razziali e la loro applicazione sono state l’apice della vergogna dell’Italia… Qquesti fatti devono condurre a una condanna unanime e definitiva.” Non tralascia però di rilevare come la “professione dell’antifascismo abbia reso difficile il superamento delle vecchie divisioni figlie della storia.” È un po’ quanto avvenuto anche con i “professionisti dell’antimafia”, stigmatizzati da Sciascia, che hanno costituito un oggettivo ostacolo nella lotta sacrosanta e che è costata tante vittime, alla mafia. Bocchino riporta uno sfogo di Cacciari, da lui definito “una delle più belle menti italiane”, il quale in un’intervista alla Stampa del 26 aprile scorso “ha tuonato: basta chiedere abiure e pentimenti. Così rischiamo che l’antifascismo diventi una foglia di fico per coprire le mancanze politiche sull’oggi.” È la stessa “bella mente” che poche sere fa ha ribadito a Giletti che l’unica soluzione per la questione mediorientale è che i palestinesi ripudino Hamas e si diano un governo che provi, insieme con quello di Israele, a realizzare finalmente i “due Stati per i due Popoli”.
Contro le bugie della sinistra e i luoghi comuni della propaganda
La seconda parte è sostanzialmente lo sviluppo del sottotitolo “Contro le bugie della sinistra”, nella quale smonta i luoghi comuni di una propaganda ormai ripetitiva che ha bisogno di alzare continuamente i toni per avere qualche possibilità di influenzare un’opinione pubblica scafata, che ha imparato a valutare le proposte, le promesse e le realizzazioni, sulla base del conto che la realtà quotidianamente le presenta. E non si diverte più ad ascoltare le surreali metafore a base di mucche che invece di stare nelle stalle, si incontrano per i corridoi del Palazzo…, o di giaguari da smacchiare, di un politico d’antan diventato quasi un’icona di quella parte della sinistra che si ritiene interprete del buonsenso popolare. Mucche nel corridoio e buonsenso…? Piuttosto ardua la combinazione! Si tratta della parte più esplicitamente pamphlettistica del volume, nella quale Bocchino sfodera tutte le qualità di polemista che gli consentono di affrontare con successo, nelle trasmissioni televisive a cui partecipa, soprattutto quelle con cui collabora abitualmente, “Otto e mezzo” e “Di martedì”, i giornalisti, alcuni dei veri fanatici invasati, che egli identifica come i veri leader della sinistra, sia del Pd che di 5 stelle, in assenza di personalità credibili alla guida dei due partiti.
Le ragioni di un successo che hanno portato alla prima premier donna
La terza parte, a mio avviso la più interessante, è quella dedicata all’esame delle ragioni che hanno portato una destra moderna a diventare non solo il primo partito in Italia, ma anche a esprimere il primo premier donna della nostra storia, che si è rivelata una protagonista della politica europea e mondiale (pur nei limiti oggettivi che la nazione ha nel contesto geopolitico globale) e una partner affidabile per gli altri paesi, nonché addirittura un modello da imitare (il premier laburista inglese Starmer ha tessuto di recente gli elogi della politica meloniana di contrasto all’immigrazione clandestina). C’è un passaggio esilarante nel libro in cui Bocchino si diverte, con la sua vis polemica contraddistinta non solo dall’efficacia, ma anche da una ironia beffarda che fa saltare i nervi agli avversari, a tracciare il percorso politico, per un immaginario alieno, dell’attuale Premier. Vale la pena riportarlo quasi integralmente: “Immaginate di non sapere nulla di nulla dell’Italia. Un bel giorno vi annunciano che c’è una nuova leader politica. La prima donna candidata a diventare presidente del Consiglio. Una donna che non proviene dall’alta borghesia ma da un quartiere popolare romano, la Garbatella … una donna che non ha fatto chissà quali studi astrusi, ma ha imparato per bene le lingue e ha mantenuto un approccio non presuntuoso da primo della classe, bensì quello umile di chi sa che prima di parlare di qualcosa è necessario studiare … partendo dal basso, dalle sezioni periferiche di partito, ha faticosamente salito un gradino dopo l’altro fino a diventare la prima donna nella storia a governare l’Italia. Se foste all’oscuro di tutto e vi raccontassero questa storia, direste che è una storia di sinistra.” Il brano rende benissimo, meglio di qualsiasi “astrusa” analisi sociologica, la degenerazione (politica) del partito della sinistra che, da partito del popolo, è diventato quello dei frequentatori della spiaggia di Capalbio e degli abitanti del Centro Storico.
La Terza Repubblica si consolida con la riforma del premierato
Una piccola testimonianza personale: quando avevo a che fare, negli anni Settanta/Ottanta, da direttore artistico del Festival Internazionale del Teatro di Taormina, con i responsabili nazionali della Cultura del Pci (il Festival era nato su proposta dell’allora presidente comunista dell’Assemblea Siciliana Pancrazio De Pasquale), mi sorprendevo, ingenuamente, che nessuno di loro abitasse in case popolari della periferia…, ma tutti in appartamenti delle zone centrali di Roma, a onor del vero non di proprietà, ma avuti in affitto, a prezzi quelli sì popolari…, dai vari Enti pubblici… Bocchino sottolinea come le due precedenti “Repubbliche”, quella nata nel ’48 cioè e l’altra nel ’94, siano state caratterizzate da profonde trasformazioni istituzionali. Sarà inevitabile che anche ora, con la vittoria per la prima volta della destra, accada una cosa del genere: “La Prima Repubblica è nata con il referendum sulla forma istituzionale dello Stato, con la scelta fra monarchia e repubblica, e con l’Assemblea costituente che diede vita alla nostra Carta fondamentale. La Seconda Repubblica è nata da tre leggi elettorali che cambiarono e stravolsero la politica, prima l’elezione diretta del sindaco, poi il Mattarellum che introdusse le coalizioni, col sistema uninominale e maggioritario, e infine il Tatarellum che portò all’elezione diretta del presidente della regione … La nascita della Terza Repubblica sarà quindi definitiva, ufficiale e possibile con l’approvazione della riforma sul premierato, presentata dal governo in Parlamento con un disegno di legge costituzionale approvato all’unanimità in Consiglio dei ministri”.
Il manifesto di una nuova destra conservatrice repubblicana
Sulla riforma del Premierato Bocchino si sofferma a lungo, analizzandone pregi e difetti. Ammette onestamente che si tratta di un compromesso, necessario per venire incontro alle esigenze delle diverse anime della coalizione di governo, ma chiede anche, giustamente, che ne sia messa alla prova l’efficacia. Non manca di rilevare le contraddizioni della sinistra che, pur avendo in altri tempi caldeggiato e proposto una riforma del genere, ora alzi le barricate, gridando, come fa sempre quando è a corto di argomenti e si sente franare la terra sotto i piedi, “al golpe” istituzionale, dimenticando che sistemi analoghi esistono in altre importanti nazioni europee e non hanno portato al disfacimento dello Stato democratico. Nelle battute finali della presentazione del libro alla Galleria Nazionale di Arte Moderna, il presidente del Senato La Russa si è rivolto al ministro Valditara, fra gli ascoltatori in sala, dicendogli cha a suo avviso il volume dovrebbe essere utilizzato come testo formativo nelle scuole. Si trattava con tutta evidenza di una provocazione, com’è nelle abitudini di questo politico di lungo corso, che personalmente non ritengo accettabile, ma non so invece se Bocchino avesse in mente nell’accingersi a scrivere il suo libro, l’obiettivo di stendere una sorta di manifesto della “nuova destra conservatrice repubblicana”, come la definisce. Perché l’Italia è di destra ha infatti tutti i requisiti per diventarlo.