Quindicenne suicida, Valditara contatta l’ufficio scolastico regionale: “La scuola torni a essere comunità”
Un grido d’aiuto rimasto inascoltato, quello del quindicenne senigalliese che domenica sera si è tolto la vita con la pistola del padre. Tormentato e umiliato dai bulli, Leonardo Calcina, scriveva: «Ho parlato con un prof, ho detto che voglio cambiare scuola, non ce la faccio più». Eppure, dell’intervento tempestivo del docente neanche l’ombra. Si limitò a ricordargli l’obbligo scolastico fino ai 16 anni. Oggi interviene il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara.
Valditara: «La scuola deve essere una comunità umana ed educante»
L’inquilino di viale Trastevere ha sollecitato un’indagine approfondita sull’accaduto. In una comunicazione ufficiale, il ministro ha contattato direttamente Donatella D’Amico, direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale delle Marche, chiedendo di fare piena luce sulla vicenda. E ha invitato a tenere conto anche delle testimonianze rilasciate dai compagni di scuola e dagli amici del giovane nei giorni scorsi sui media. «La scuola deve essere, innanzitutto, una comunità umana ed educante», ha affermato il ministro, ribadendo l’importanza di costruire rapporti basati sull’ascolto, sul rispetto reciproco e sull’accoglienza. Un richiamo forte all’importanza del ruolo del docente non solo come trasmettitore di sapere, ma anche come figura centrale nella crescita emotiva e psicologica degli studenti. L’intervento del ministro sottolinea una necessità urgente: la scuola non può limitarsi alla trasmissione delle conoscenze, ma deve essere in grado di intercettare le fragilità degli studenti e agire con prontezza.
Le accuse dei genitori e i segnali ignorati
Nel cuore della tragica vicenda c’è il racconto doloroso dei genitori, che nelle loro denunce hanno descritto il calvario quotidiano subìto dal figlio a scuola. La madre di Leonardo accusa: «Mio figlio non è stato aiutato a scuola. I professori non lo hanno sostenuto. Nessuno di loro, peraltro, ci ha chiamato per farci le condoglianze». E i particolari che emergono fanno male: insulti a sfondo sessuale, violenze fisiche e discriminazioni perpetrate da un gruppetto di compagni. Episodi che il ragazzo, forse per vergogna, non ha mai avuto il coraggio di denunciare direttamente ai docenti. Ma ora quelle stesse istituzioni, che avrebbero dovuto proteggerlo, sembrano lavarsi le mani, affidando tutto alle autorità competenti.
Nel silenzio assordante della scuola, la tragedia di Leo ci ricorda una verità scomoda: i bulli non sono solo i compagni di classe. Sono anche gli adulti che scelgono di non vedere. La politica ha mandato un messaggio chiaro: non possiamo più permetterci di ignorare i segnali di disagio tra i nostri giovani.