Scandalo mail “togate” contro Meloni? Un motivo in più per la separazione delle carriere
La grande occasione. Nelle ultime ore in Italia sta affiorando nuovamente l’annoso scontro tra poteri dello Stato, in termini e modi che tuttavia lasciano ampiamente discutere e che da ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, come prevede la Costituzione, rischiano seriamente di rendere la magistratura una leva ideologizzata per avversare questo esecutivo e la maggioranza parlamentare di centrodestra, in maniera carsica o meglio, nel caso di specie, goffa.
La mail del dott. Patarnello ai colleghi dell’Associazione Nazionale Magistrati dopo il discusso provvedimento del Tribunale di Roma che non ha convalidato il trattenimento di migranti in Albania, resa pubblica da “Il Tempo”, purtroppo non fa altro che confermare quelle che i sinistri e i grillini hanno da sempre bollato quali “teorie complottiste” e che invece sono le verità sottaciute che solo se accolte dall’intero sistema politico possono riportare equilibrio tra i poteri dello Stato.
Non si rimane sorpresi a leggere certi discorsi, le recriminazioni dei giudici perché non c’è un premier con scheletri nell’armadio da poter condizionare o cui rendere la vita politica impossibile, il timore che questi possa avanzare riforme che impediscano alla magistratura di continuare ad avere un ruolo da protagonista sforando il proprio compito, quello di applicare le leggi emanate dal Parlamento espressione del popolo.
Riformare la giustizia: se non ora quando?
Il golpe è servito? Chi tocca la giustizia o non si allinea ai desiderata di una certa magistratura non può governare l’Italia, le elezioni non contano? Proprio questo scenario dovrebbe imporre un’unità di intenti per riformare la giustizia, con il senso di responsabilità dei padri costituenti nell’evitare che certe esuberanze possano far prevaricare chi ha il potere assoluto di limitare la libertà altrui sulla politica.
La separazione delle carriere può essere la grande occasione per la politica, una battaglia di civiltà giuridica per marcare la differenza e avanzare un altro passo verso la realtà. Non si può descrivere in altro modo la pragmatica scelta intrapresa dal Governo Meloni, con un disegno di legge costituzionale il cui testo base, a seguito di numerosi confronti con esperti in materia, è stato definito e adottato dalla commissione affari costituzionali della Camera dei Deputati con termine per emendamenti stabilito per il prossimo 23 ottobre.
Adesso può prendere avvio l’iter legislativo nella prospettiva di approvare entro l’anno la riforma delle riforme in materia di giustizia in almeno uno dei rami del Parlamento, con una maggioranza che al momento si prevede più ampia del perimetro governativo, ricevuti gli apprezzamenti da Azione, Italia Viva e più Europa.
La buona sintesi
In tal senso la riforma rappresenta la sintesi possibile tra le istanze del mondo degli operatori del diritto, in primis l’Unione delle Camere Penali, e il mantenimento di un equilibrio costituzionale, prevede infatti l’istituzione di un Consiglio Superiore della Magistratura esclusivamente dedicato alla pubblica accusa, presieduto come quello della magistratura giudicante dal Presidente della Repubblica. La riforma promuove inoltre il depotenziamento delle correnti che hanno inquinato il nobile ruolo dell’organo di autogoverno della magistratura, obiettivo perseguito con l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare e l’introduzione del sorteggio per scegliere i componenti togati.
Un altro passo verso la realtà come il premierato: sono riforme queste, tra le altre, che servono per superare situazioni ibride che di fatto si sono consolidate nel tempo senza i dovuti pesi e contrappesi. Dal presidenzialismo di fatto che ha avuto il suo apice con la figura di Giorgio Napolitano al ruolo, in Italia, dei pubblici ministeri. Tutti questi interventi, infatti, rappresentano il punto di incontro tra prassi consolidate e regolamentazione normativa, in ossequio alla volontà del popolo sovrano.
D’altronde combattere il correntismo in seno alla magistratura è argomento del dibattito parlamentare sin dal 1971, con apposita proposta proprio del gruppo parlamentare missino: separazione carriere e sorteggio, stesse medesime proposte, ingaggiate ben prima che questi temi diventassero protagonisti del dibattito pubblico.
Cosa rispondere ai detrattori
I detrattori della riforma, per lo più magistrati, affermano che questa si traduca in un attacco alla “non” terzietà ed imparzialità dei giudici, incapaci di saper distinguere il rapporto istituzionale da quello di colleganza, oltre al riconoscimento di un peso ancora maggiore, per converso, proprio ai pubblici ministeri che vedrebbero sublimare la propria organizzazione con un apposito CSM.
Secondo i contrari, così facendo, il pubblico ministero diverrebbe un “super poliziotto”, ma costoro non si rendono conto che lo è sempre stato, specie negli ultimi trent’anni. Uno dei maggiori giuristi e avvocati del secolo scorso, il Prof. Avv. Giovanni Aricò, sosteneva a tal proposito che il codice accusatorio del 1989 altro non era che il codice del pubblico ministero, che lo rendeva principe incontrastato nella fase delle indagini preliminari e dell’azione penale, ruolo che molti pm, specie quelli sensibili alla propria vanità e alle prospettive di carriera, anche e soprattutto politica, hanno interpretato senza remore o scrupoli.
E allora se hanno un senso le riforme queste devono regolare i fenomeni esistenti creando i giusti equilibri, questo il segnale del ddl Nordio, si vada fino in fondo, si squarci il velo di ipocrisia, ad un pm “super poliziotto”, per davvero parte processuale, corrisponderà un giudice anche all’apparenza terzo e imparziale che considererà paritaria al primo la figura dell’avvocato.
Il progetto di legge comporta il superamento di un’impasse che ha determinato solo disfunzioni nel sistema e anomalie emerse, in minima parte, nelle “confessioni” di Palamara, mettendo a rischio la libertà personale dei cittadini, molti di questi esposti, perché uno “scalpo” importante può favorire grandi opportunità. La parità di armi e ruolo tra accusa e difesa, dinanzi ad un giudice terzo e imparziale, è una battaglia di civiltà, contrastata solo da interessi corporativi di una parte di burocrati che hanno confuso il proprio ruolo istituzionale con quello di censori, dispensatori di una “pravda” cui ormai più nessuno vuole prestare atto di fede.