Trump invoca la pena di morte per i migranti: un déjà vu che la sinistra dimentica
La corsa alla Casa Bianca si intensifica, e come da copione, Donald Trump non perde occasione per usare la sua strategia preferita: polarizzare. Al comizio di Reno, in Nevada, ha chiesto la «pena di morte per i migranti che uccidono cittadini americani o agenti di polizia».
È una dichiarazione forte, perfettamente calibrata per infiammare la sua base elettorale, che lo vede come l’unico difensore di un’America assediata dall’immigrazione incontrollata. Poche ore dopo, ad Aurora, in Colorado, Trump rincara la dose, puntando il dito contro le gang venezuelane che – secondo lui – stanno portando violenza e degrado nelle città.
L’amnesia politica della sinistra, il caso Sacco e Vanzetti
Non è la prima volta che il Tycoon utilizza l’immigrazione come leva politica, e non sarà di certo l’ultima. Sui Social rimbalza l’indignazione della sinistra, che si straccia le vesti davanti a una proposta, che di fatto proposta non è, non rammentando una pagina nera della storia americana: il caso Sacco e Vanzetti. I due anarchici italiani, ingiustamente condannati a morte negli Stati Uniti degli anni ’20, vittime di un processo farsa intriso di pregiudizi, con il solo scopo di trovare il colpevole.
E qui sta l’ironia: Trump sa giocare bene le sue carte, ma il vero pericolo risiede nella memoria corta di chi si erge a paladino dei diritti umani. La sinistra americana, pronta a sventolare la bandiera della giustizia e dell’inclusione, sembra dimenticare che fu proprio il sistema statunitense, sostenuto dal consenso popolare, a giustiziare sulla sedia elettrica due nostri connazionali senza prove concrete. La vicenda di Sacco e Vanzetti ci insegna che non c’è nulla di nuovo sotto il sole.
Preghiere, digiuni e voti: la destra cristiana si mobilita
Ma la retorica di Trump non viaggia sola. A Washington, Jenny Donnelly, influente leader del movimento “Her Voice“, ha organizzato una giornata tutta al femminile di preghiera e digiuno, al National Mall, con l’obiettivo di «invocare l’autorità del Signore sul processo elettorale e la leadership nazionale». L’incontro ha visto la partecipazione di molte madri preoccupate dalle politiche di genere e dalle questioni legate al movimento transgender, avviando una serie di iniziative pensate per orientare il voto cristiano a favore di candidato repubblicano.
Il movimento anti-transgender “Don’t Mess with Our Kid“, creato proprio da Donnelly, si inserisce in un quadro più ampio di resistenza alle politiche ultra-progressiste, supportato da gruppi come il New Apostolic Reformation, che ambiscono a lungo termine a instaurare un dominio evangelico negli Stati Uniti. Tra i sostenitori dell’iniziativa vi è anche Lou Engle, pastore conservatore antiabortista che ha paragonato la battaglia contro i diritti LGBTQ+ alla secessione del Sud durante la Guerra Civile. Secondo quanto riporta il Southern Poverty Law Center, incitando persino i tradizionalisti a seguire l’esempio del generale confederato Robert E. Lee.
La Bibbia di Trump contro la Kamala arcobaleno
E così, la campagna elettorale si trasforma in una battaglia di slogan senza esclusione di colpi. Da una parte, la “Bibbia di Trump“, dall’altra, Kamala Harris, osannata come la “Campionessa dell’uguaglianza” dalla Human Rights Campaign. Ma oltre lo scontro mediatico, ciò che emerge è un’America profondamente divisa, che non ha mai fatto i conti con i suoi fantasmi del passato.