Utero in affitto: il business mascherato da solidarietà che sfrutta donne e bambini

16 Ott 2024 16:13 - di Alice Carrazza
UTERO IN AFFITTO

Il Senato sta discutendo una proposta di legge che potrebbe rappresentare una svolta decisiva nella battaglia contro l’utero in affitto, estendendo il divieto anche agli italiani che ricorrono a questa pratica all’estero. Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 38162 del 2022, avevano già chiarito che la maternità surrogataanche gratuita – «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane», rafforzando il diniego di trascrizione degli atti di nascita di bambini nati da surrogazione all’estero. Il dibattito di oggi rappresenta un passo ulteriore per contrastare la commercializzazione della vita umana, rispondendo alla narrazione della sinistra che dipinge questa pratica come un atto solidale, quando in realtà sfrutta le donne e favorisce la «genitorialità ad ogni costo» anche a scapito dei minori.

Utero in affitto: una pratica di sfruttamento travestita da atto di generosità

Il disegno di legge, introdotto dalla deputata di Fratelli d’Italia Carolina Varchi, mira a rendere perseguibili penalmente anche i cittadini italiani che ricorrono alla maternità surrogata all’estero: laddove questa pratica sia consentita. Non si tratta di un’ingerenza negli affari di stati sovrani; piuttosto di una misura volta a tutelare le donne e a porre fine a questo lucroso mercato. Un giro d’affari che, secondo i dati, ha raggiunto gli 11 miliardi di dollari nel 2022 (nel 2016 era 3,8 miliardi); e si prevede arrivi a 33 miliardi entro il 2027. Questa cifra impressionante racconta molto più di quanto facciano gli slogan della “solidarietà” lanciati da molti politici discutibili. In paesi come l’Ucraina o gli Stati Uniti, il prezzo per avere un figlio tramite surrogata può arrivare fino a 300.000 dollari; ma a ricevere solo una minima parte sono le donne che mettono a disposizione il proprio corpo.

Utero in affitto, non è un atto di altruismo

Le narrazioni che dipingono la maternità surrogata come un gesto di puro altruismo vacillano di fronte alle storie reali. Come spiega Birgit Kelle, autrice di un libro dal titolo Mi compro un figlio: l’ignobile affare della maternità surrogata, nonché attivista tedesca e giornalista che, in incognito alla Fiera della procreazione assistita di Berlino 2024 le è stato offerto un “pacchetto surrogata” per 52.000 euro, scontato a 36.000 euro per l’opzione online. «L’embrione sarebbe stato prodotto in Ucraina, la surrogata sarebbe arrivata da Bulgaria o Kazakistan e avrebbe partorito a Cipro, dove sarei stata registrata come madre. A rientro in Germania avrei avuto tutti i miei diritti di madre single», racconta all’Avvenire. Nulla in questo quadro evoca solidarietà, al contrario svela un freddo mercato in cui donne e bambini sono trattati come prodotti di consumo.

Mercificazione delle donne

Questa mercificazione della vita umana non solo sfrutta economicamente le donne, ma crea anche profondi traumi psicologici, come testimonia Olivia Maurel, attivista nata tramite maternità surrogata oggi profondamente contraria a questa pratica. Cresciuta in Francia, Maurel ha scoperto solo in età adulta di essere nata da una surrogata negli Stati Uniti. «C’è sempre stato qualcosa di strano» nel rapporto con mia madre adottiva, come riporta La Verità. «Non mi assomigliava. È totalmente il mio opposto fisicamente […] anche dal punto vista emozionale: non c’era il classico rapporto mamma-figlia», questo, come lei stessa afferma, l’ha portata vicino ad una crisi identitaria. Il test del DNA ha poi confermato i suoi sospetti: la donna che l’ha cresciuta non era la sua madre biologica. Maurel ha espresso la propria ostilità verso questo enorme commercio di vite umane: «Praticamente è eugenetica». E ha concluso senza mezzi termini che La maternità surrogata non è altro che un vero e proprio «traffico di esseri umani».

Il Vaticano: “Un bambino non è un oggetto di contratto”

Non è solo l’aspetto economico a sollevare interrogativi. La Chiesa Cattolica, con un recente documento del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha ribadito la sua ferma opposizione alla maternità surrogata; definendola una doppia violazione della dignità: sia del bambino che della donna. «Ritengo deprecabile la pratica della cosiddetta maternità surrogata, che lede gravemente la dignità della donna e del figlio», ha dichiarato il Papa. Sottolineando come un bambino non possa mai essere considerato un «oggetto di contratto» o uno strumento per soddisfare i desideri altrui.

L’aspetto più inquietante è forse il paradosso che emerge: mentre si chiede alle donne che offrono il loro utero di provare una straordinaria empatia per coppie infertili che spesso non hanno mai incontrato; viene poi chiesto loro di alienarsi completamente dalla creatura che portano in grembo. Il distacco emotivo imposto a queste madri surrogata non è solo disumano, ma crea danni psicologici incalcolabili.

L’illusione della “solidarietà” e le contraddizioni della sinistra

Sul tema, anche le pressioni dettate dal politicamente corretto, tanto amato dalle sinistre woke, sono fortissime. Se da una parte alcune femministe come Alessandra Bocchetti rifiutano l’eufemizzazione di espressioni come “gestazione per altri”. Preferendo chiamare le cose con il loro nome – “utero in affitto” –. Altre, come i movimenti transfemministi pro LGBTQ+, continuano a sostenere questa pratica in nome dei diritti individuali e delle coppie omosessuali. «Lo so che l’espressione “utero in affitto” non fa piacere ad alcune compagne e amiche. Ma proprio di questo si tratta», scrive la Bocchetti (“Solo corpi che nulla possono immaginare sul bambino che ospitano”, La 27esima ora, 5 gennaio 2016). Le femministe spagnole, inoltre, lanciarono l’hashtag #nosomosvasijas (non siamo recipienti), dichiarandosi contrarie alla compravendita di bambini e al mercimonio del corpo femminile.

Nonostante queste voci critiche, la sinistra trattativista sembra aver abbracciato la gpa come un nuovo diritto, sacrificando valori fondamentali come la dignità umana in cambio di un progressismo mal inteso. Come ha scritto Andrea Dworkin, teorica del femminismo radile, solo quando si tratta del corpo delle donne la sinistra celebra la bellezza del libero mercato (Terragni, 2016). Il ddl Varchi rappresenta quindi la fermezza nell’arginare una vera e propria tratta che, al contrario di quanto si voglia far credere, non è affatto un atto di amore e condivisione, ma uno sfruttamento sistematico delle donne più vulnerabili.

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