Utero in affitto. La dittatura dei desideri della sinistra ha (finalmente) trovato un muro: il ddl Varchi
Maternità surrogata, gestazione per altri, gestazione solidale: a sinistra sentono il bisogno di elaborare ogni giorno una nuova, zuccherosa locuzione per definire quello che nei fatti è un mercato di bambini fondato sullo sfruttamento del corpo delle donne. E lo fanno perché intimamente sanno anche loro che, al di là degli espedienti lessicali, l’utero in affitto è un orrore.
Eppure, un minuto dopo il voto con cui il Senato ha approvato in via definitiva il Ddl Varchi – rendendo perseguibile la realizzazione, organizzazione o pubblicizzazione della gestazione per altri e il commercio di gameti o embrioni, già reato dal 2004, anche qualora siano commessi all’estero dal cittadino italiano – la potente macchina specializzata in sovvertimento della realtà targata Pd si è subito messa in moto, con la compiacenza di certa stampa, prona a una narrazione assolutamente minoritaria ma rumorosa, tanto rumorosa.
Il mondo al contrario
Comincia Nicola Vendola, parte interessata in quanto fruitore di Gpa nel 2016 (quando in Italia era già reato), che parla di “ideologia talebana” e “moralismo da marciapiede”, seguito a stretto giro da Alessandro Zan colui che, per intenderci, avrebbe voluto sanzionare penalmente chi ha l’ardire di sostenere che se nasci femmina sei una donna, a prescindere dall’autopercezione.
Secondo l’autore del famigerato ddl contro le discriminazioni, altresì detto bavaglio arcobaleno, la norma licenziata dal Senato mercoledì sarebbe un “obbrobrio giuridico” e una “legge liberticida e discriminatoria” volta a colpire – udite, udite! – “i figli delle famiglie arcobaleno”, che poi sarebbero bambini che hanno un papà e una mamma ma che ne sono stati privati, a beneficio di due adulti omosessuali che ne volevano così tanto uno da essere disposti ad acquistarlo.
Illuminante anche l’intervento di Vladimir Luxuria, che ha spiegato come la nuova previsione di legge sia “solo un modo per nascondere la verità e cioè che secondo questo Governo gay e lesbiche non sono degni di essere genitori, tant’è che è anche proibita l’adozione per i gay”: peccato che tra gli argomenti preferiti della sinistra a favore della Gpa ci sia quello secondo cui la maggior parte delle coppie che vi ricorrono sia composta da eterosessuali. L’apice della mistificazione lo raggiunge, però, come sempre, Elly Schlein, dichiaratasi già da tempo “personalmente favorevole” alla compravendita di neonati: la segretaria sentenzia “il governo compie un’atroce propaganda sulla pelle delle persone, delle famiglie e dei figli con l’obbrobrio di questo reato universale…che calpesta i diritti fondamentali delle bambine e dei bambini”.
Sì, avete capito bene. L’obbrobrio non è commissionare un bambino, farlo crescere per nove mesi nel ventre di una donna indigente e poi portarglielo via alla nascita dietro compenso, come una merce qualunque: “l’obbrobrio” è sancire che tutto questo abbia un disvalore etico e giuridico tale da meritare una sanzione penale. I diritti fondamentali dei bambini non sono calpestati da chi pensa di acquistarli come se fossero borsette o scarpe costose, costosissime, ma da chi vuole impedire e punire lo sfruttamento delle donne e la mercificazione della vita umana.
Si appellano all’umanità, loro, i buoni, usando i bambini come scudi umani a difesa del presunto diritto degli adulti di avere tutto quello che desiderano e a qualunque costo: e poco importa se l’oggetto del desiderio è un essere umano in fasce. E se usare i bambini non basta, allora parte il piagnisteo Lgbt: impedire che un neonato, un attimo dopo essere venuto alla luce, sia tolto alla donna che lo ha portato in grembo per nove mesi, per essere consegnato ai committenti che lo hanno profumatamente pagato, è discriminazione.
Non una parola sullo sfruttamento delle donne
Nulla, da sinistra, sul rispetto della vita umana, sullo sfruttamento delle donne, sulle pattuizioni contrattuali che danno a chi paga potere decisionale sulla salute della gestante (al punto da poterle imporre di abortire se il feto – rectius la merce – risulta non conforme ai loro desiderata) a cui viene, peraltro, preclusa ogni possibilità di ripensamento. Non una parola sui traumi causati ai neonati, privati del fondamentale rapporto con la madre che, d’altronde, come abbiamo appreso qualche tempo addietro, secondo la comunità Lgbt sarebbe solo un “concetto antropologico”.
Eppure, basterebbe spostare per un attimo l’obiettivo dai fantomatici diritti degli adulti all’ormai vetusto (per la sinistra) concetto di dignità della vita umana, per capire quanto scivoloso sia il pendio: l’idea che l’essere umano sia un bene disponibile, da abortire se indesiderato, sopprimere se troppo malato o acquistare se necessario a soddisfare un capriccio, per quanto rifiutata da una maggioranza silenziata, viene sempre più spesso associata dal mainstream al tema della modernità, dell’avanguardia. Secondo la narrazione progressista, una società sarebbe tanto più evoluta quanto maggiormente disposta a consentire che la sacralità della vita umana ceda il passo a una sfrenata e incontrollata ricerca ad ogni costo della soddisfazione dei propri desideri, artatamente fatti assurgere al rango di diritti, spacciata per autodeterminazione.
E così, in nome di questo progresso da rincorrere a tutti i costi, chi vuole impedire il commercio di bambini diventa un talebano e chi strappa un neonato alla madre dopo il primo vagito si trasforma in un paladino dei diritti. È la sinistra, bellezza.