Da Marco Rubio a Susie Wiles: chi sono i gladiatori mediatici dell’amministrazione Trump
Donald Trump non si smentisce mai. Dopo il ritorno trionfale sulla scena politica americana, il presidente-eletto sta componendo il suo team di governo con una strategia che mischia spettacolo, fedeltà e un pizzico di provocazione. I nomi scelti per i ruoli chiave non impressionano per esperienza burocratica, ma per impatto mediatico. È una scommessa audace che riflette il carattere del magnate newyorkese: meglio volti telegenici e leali che tecnocrati freddi e distanti.
Una squadra da palco, non da retrovia
Se nel 2016 Trump aveva riempito la Casa Bianca di “estranei” provenienti dal mondo delle aziende o delle forze armate, questa volta ha deciso di non ripetere errori. Basta con i Rex Tillerson e i Jim Mattis, colpevoli di non aver capito fino in fondo il trumpismo e fin troppo chiacchierati come “gli stabilizzatori” del vecchio mandato. Per il secondo atto, invece, The Donald premia chi lo ha difeso nelle arene mediatiche e ai comizi, costruendo una squadra che, più che governare, sembra pronta a combattere una battaglia culturale.
Le stelle della TV al potere: Pete Hegseth e Matt Gaetz
Tra le nomine più discusse, Pete Hegseth, volto di Fox News, alla guida del Pentagono, e il deputato conservatore Matt Gaetz come ministro della Giustizia. Entrambi senza precedenti esperienze amministrative, ma con un dono imprescindibile: saper dominare lo schermo. Ma non mancano volti femminili, Trump ha chiamato all’appello anche la bellissima Kristi Noem. La governatrice del rurale South Dakota è stata così incaricata di controllare la sicurezza interna del Paese. Trump non cerca amministratori, ma gladiatori mediatici che sappiano spiegare, difendere e persino glorificare il suo progetto politico davanti alle telecamere.
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La fedeltà è il biglietto d’ingresso per il nuovo team Trump
La fedeltà è il biglietto d’ingresso per la squadra Trump 2.0. Ecco perché Susie Wiles, artefice della sua vittoria in quanto co-manager delle campagne trumpiane, è stata promossa chief of staff, e Tom Homan, che già dirigeva l’agenzia statunitense per l’immigrazione durante il primo mandato, sarà il nuovo “border czar” per portare a termine il tanto discusso piano di rimpatrio di massa dei migranti illegali promesso da Trump durante la corsa. «Per molti versi» afferma Matt Mowers, ex funzionario del dipartimento di Stato e stratega repubblicano, il precedente periodo alla White House «gli ha permesso di addestrare molte persone ora allineate con la sua agenda».
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I dirompenti outsider per una burocrazia più snella
Elon Musk e Vivek Ramaswamy, outsider per eccellenza, hanno ricevuto il compito di ridisegnare la macchina federale. Entrambi sono novizi della politica, ma questo sembra essere un vantaggio nella logica di gioco del tycoon: chi meglio di loro può rompere gli schemi tradizionali e scuotere Washington? Dopotutto, gli basta un tweet.
Una scommessa sul consenso popolare
«È interessante notare che le persone che ha selezionato per i ruoli più importanti tendono ad essere, direi, capaci in televisione, quindi sono bravi sul versante pubblico di questi lavori», dice David Lewis, professore alla Vanderbilt University e autore di un libro sulle nomine presidenziali. Trump punta dunque su un messaggio chiaro: questa non sarà una presidenza per i burocrati, ma per il popolo. La sua squadra, fatta da animali da palco e volti mediatici, dimostra che il presidente-eletto vuole rimanere fedele ai suoi elettori, senza preoccuparsi delle critiche dei salotti di Washington.
L’obiettivo? Sorrisi e un cambio politico totale
Marco Rubio, anti-castrista d’eccezione noto per le sue posizioni inflessibili su Cina, Iran e America Latina, è pronto a proiettare un’immagine più decisa degli Stati Uniti sulla scena globale. La sua nomina a segretario di Stato è un chiaro segnale dell’intenzione di Trump di imprimere una svolta assertiva alla politica estera americana, con Pechino nel mirino. Ma dietro la strategia c’è anche un tocco di carisma. “Little Marco“, il soprannome che Trump gli affibbiò ai tempi delle loro schermaglie, non è l’unico che sa essere diretto davanti ai microfoni. Anche Tulsi Gabbard, ex deputata democratica divenuta beniamina dei conservatori per il suo sostegno a politiche isolazioniste e il suo aperto disprezzo per l’ideologia woke, assume il ruolo di direttrice dell’Intelligence. Schietta e senza timori di far valere la propria opinione, Gabbard si è guadagnata un posto in prima fila, pronta a occupare la scena al fianco della nuova squadra il giorno dell’insediamento di gennaio.