Definire “mercenario” l’eroe Quattrocchi è diffamazione: 248 querele, prima condanna
“È inginocchiato in una fossa, la testa e gli occhi fasciati da una kefiah bianca e azzurra, e le mani legate davanti, all’altezza dello stomaco. Sento a malapena le sue ultime parole. Posso levare…? E c’è qualcuno che risponde. Non si capisce bene se a lui, oppure se è un parlottare allucinato tra vili assassini. Posso levare…? Vi faccio vedere come muore un italiano…. “. L’incipit del libro “Vi faccio vedere. Chi era Fabrizio Quattrocchi” della sorella dell’eroe italiano ucciso in Iraq, Graziella Quattrocchi, nel libro firmato con Raffaele Panizza, è da pelle d’oca. Chi non ricorda quello sguardo fiero rivolto al suo assassino, un terrorista islamico senza vergogna? Morì così Fabrizio Quattrocchi, il 14 aprile del 2004 a Baghdad, dove lavorava per una compagnia di sicurezza: venne insignito di una medaglia d’oro al valor civile alla memoria, nel 2006, dal presidente Ciampi, su proposta della destra, all’epoca Alleanza nazionale.
Oggi, nella fogna dei social, in tanti lo definiscono mercenario, in molti, 248, hanno ricevuto una querela, uno soltanto, per ora, ma forse è solo l’inizio, è stato condannato per diffamazione: niente carcere, ma un risarcimento, più o meno simbolico alla famiglia, di 2500 euro, come racconta oggi Il Fatto Quotidiano.
Fabrizio Quattrocchi, le ultime parole e la condanna per l’insulto “mercenario”
Nato a Catania, cresciuto a Genova, svolse il servizio di leva nell’Esercito Italiano, raggiungendo il grado di caporal maggiore, e prestò servizio nel 1987 come caporale istruttore nel 23º Battaglione fanteria “Como”, di stanza a Como, reparto poi sciolto nel 1996. Congedatosi dall’esercito, Quattrocchi continuò a essere impegnato fino al 2000 nell’attività di famiglia, una panetteria nel quartiere di San Martino non lontano dall’omonimo ospedale, coi genitori, il fratello e la sorella. Dopo la morte del padre la famiglia cedette l’attività; venuta a mancare la principale fonte di sostentamento, Quattrocchi, appassionato di arti marziali, praticante il taekwondo e brevettato paracadutista, prese a seguire corsi di addestramento per prepararsi al lavoro di guardia del corpo e addetto alla sicurezza nei locali notturni, secondo quanto in seguito dichiarato dal fratello e dalla fidanzata. Poi la partenza per l’Iraq, dove era addetto alla sicurezza per conto di una società privata. Quattrocchi fu preso in ostaggio a Baghdad il 13 aprile 2004, insieme ai colleghi Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio, da miliziani delle autoproclamate Falangi Verdi di Maometto, mai identificati. Fu il solo a essere ucciso.
L’odio social per l’eroe italiano
La prima condanna è arrivata per un giornalista del Corriere dell’Alto Adige, M. A., nei cui confronti la Procura altoatesina aveva chiesto tre mesi di carcere. La frase incriminata è la definizione di “mercenario” data di Quattrocchi, accostata alla considerazione che sarebbe stato meglio dedicargli “una statua” in “una piazzetta per cani”. A scatenare gli haters fu la decisione dell’amministrazione di Bolzano di intitolare una via a Quattrocchi. Ma sui social si è letto anche di peggio. “In occasione del ventennale della morte di Quattrocchi, la sorella Gabriella ha pubblicato un libro che richiama l’ultima frase pronunciata dal fratello ai suoi carcerieri: Vi faccio vedere chi era mio fratello. La pagina Facebook che pubblicizza il libro è diventata luogo di scontro, fra chi considera Quattrocchi un eroe (decine di amministrazioni di destra gli hanno dedicato vie o piazze) e chi lo definisce proprio così, un mercenario. Chi lo ha fatto di recente è stato denunciato. Solo ad agosto la famiglia ha presentato 248 querele, pendenti nei tribunali di mezza Italia. A Brescia è indagato l’ex sindaco di Borgo San Giacomo, che nel frattempo ha cancellato i post. A Vicenza un solo fascicolo contiene il nome di 122 persone, denunciate per un like messo a un post che di Quattrocchi dice: ‘Era pagato per uccidere'”.