Femministe in silenzio sulla protesta della giovane iraniana: troppo impegnate nei cortei filo Hamas?

4 Nov 2024 17:23 - di Alice Carrazza
Video Tehran

Le immagini sono forti: una giovane studentessa iraniana si spoglia in segno di protesta, seduta nel cortile dell’Università Islamica Azad di Teheran, circondata da sguardi freddi e da una legge spietata che la vuole sottomessa. Il suo gesto è una ribellione silenziosa, ma dirompente come il grido di tutte le donne iraniane che vivono sotto l’oppressione del regime teocratico. La sua colpa? Essere troppo coraggiosa per piegarsi alle imposizioni del velo obbligatorio. Ma dove sono le femministe italiane in questo momento? Mentre la studentessa veniva trascinata via con violenza, loro magari sfilavano per le vie d’Italia, accanto a gruppi di estremisti islamici e vessilli di milizie affiliate a quel regime che tanto fa soffrire quella giovane e il suo popolo.

Arrestata per un “atto indecente”: il video della protesta diventa virale sui social iraniani

Il video è rimbalzato su tutte le piattaforme social, diventando virale, ma della sua protagonista non si hanno notizie. L’arresto, confermato dall’Università stessa, è stato giustificato come risposta a un «atto indecente», mentre le autorità la consegnavano alla polizia. Amir Mahjoub, direttore generale delle pubbliche relazioni presso l’Islamic Azad University, ha dichiarato su X che «le ragioni alla base del gesto della studentessa sono attualmente sotto indagine». E mentre si moltiplicano le dichiarazioni ufficiali, emergono dettagli inquietanti da fonti studentesche sui canali Telegram: la ragazza sarebbe stata brutalmente colpita alla testa, con conseguenti perdite di sangue, mentre il suo corpo veniva sballottato contro un’auto o una colonna.

La lunga scia di soprusi contro chi sfida il regime iraniano

L’arresto non è che l’ultimo capitolo di una lunga lista di soprusi che la repubblica degli Ayatollah riserva a chi osa sfidare il codice del vestiario imposto. Da quel tragico settembre 2022, quando Mahsa Amini perse la vita sotto custodia della polizia morale per «violazione dell’hijab», il movimento Donna, Vita, Libertà non ha smesso di combattere. Ma la repressione è stata brutale. Ora, forze di polizia, milizie paramilitari e agenti in borghese sono aumentati, pattugliano gli spazi pubblici e applicano norme sempre più rigide, grazie a progetti come Noor, concepito per garantire l’obbedienza a qualsiasi costo.

Tecnologia e oppressione: riconoscimento facciale contro chi non si piega alle leggi

Il regime si è spinto oltre, introducendo tecnologie di riconoscimento facciale nelle università per identificare e punire chi non è conforme alle rigide leggi hijab. E mentre l’Onu monitora il caso, Narges Mohammadi, attivista per i diritti umani e premio Nobel per la pace, ha dichiarato dal carcere: «Il corpo della ragazza è un simbolo di ribellione, rabbia e resistenza». Amnesty Iran ha chiesto il rilascio immediato della studentessa, ricordando che «Le autorità devono proteggerla dalla tortura e da altri maltrattamenti e garantirle l’accesso alla famiglia e a un avvocato».

Il silenzio delle femministe nostrane: impegnate col Green e i pro Pal

E mentre il mondo osserva l’Iran attraverso uno schermo, le femministe italiane che fine hanno fatto? Sono silenziose. Troppo impegnate a sostenere la causa green con Greta Thunberg o a marciare accanto a chi, paradossalmente, sostiene la stessa oppressione che condanna quelle donne iraniane a vivere nell’ombra. La recente approvazione della legge Hijab e Castità da parte del Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione è solo l’ultimo atto di una campagna di repressione che sta soffocando qualsiasi forma di dissenso. Tuttavia, le donne iraniane vanno avanti, sole e abbandonate dalle “sorelle” occidentali.

Diritti universali o paravento? Le vere battaglie sono quelle delle iraniane

Forse le femministe italiane preferiscono ignorare questi fatti, forse sono distratte da altre battaglie. Ma ignorare questa realtà significa voltare le spalle a chi rischia ogni giorno la propria vita per un’idea di libertà che in Italia diamo per scontata. E allora, quando le vediamo marciare per i diritti, dovremmo chiederci se quei diritti valgono solo per alcuni e se l’indignazione per le violenze contro le donne è davvero universale o solo un paravento.

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