I Cani band, critica anti-borghese e no alla droga: riscoprire l’Indie per salvarsi dalle derive Trap
I Cani band è un collettivo musicale creato cantautore romano Niccolò Contessa: un progetto underground per quel genere sonoro che viene riconosciuto da sempre come indie, ossia indipendente. I membri della band sono cambiati nel corso del tempo e alcuni di loro hanno lasciato traccia esclusivamente nelle strumentali utilizzate nella registrazione delle composizioni musicali. Nelle canzoni è frequente il riferimento alle zone della Roma bene e all’abuso di sostanze stupefacenti e alcolici da parte dei ragazzi, con le tragiche conseguenze di questi comportamenti. Non manca la critica musicale all’universo dei radical chic, convinti che Milano sia meglio di Roma per le loro aspirazioni – solo apparentemente – “intellettuali”. Per non parlare delle frivolezze che accompagnano la società contemporanea, concentrate nei brani “Velleità” e “Questo nostro grande amore“. Un’impostazione anti-borghese, insomma, lontana mille miglia dalle derive Trap.
La produzione de I cani
Esordiscono nel 2011 con “Il sorprendente album d’esordio de I cani”, guadagnando la terza posizione nell’ “Opera prima” delle importanti Targhe Tenco. Poi arriverà nel2012 un Ep dal titolo “I Cani non sono i Pinguini non sono I Cani” con le celebri canzoni Asperger e Wes Anderson. Poi nel 2013 pubblicheranno l’album “Glamour”, in cui figura il brano dedicato all’artista italiano Piero Manzoni, chiamato Storia di un’artista. Nel 2015 arriva il disco “Aurora”, un album in cui troviamo il brano Questo nostro grande amore, presente nella colonna sonora del film dei The pills, ossia “Sempre meglio che lavorare”. Tante collaborazioni musicali con artisti come Coez e Tutti Fenomeni trovano spazio nel bagaglio artistico di Niccolò e dei membri intercambiabili della compagnia, di cui lui sembra essere l’unico onnipresente. Nel 2023 esce l’ultimo Ep a sorpresa, intitolato ” I cani Baustelle” che in cooperazione con l’omonimo gruppo musicale toscano.
I cani non hanno bisogno del Lexotan
“Non avrò bisogno delle medicine, nemmeno delle Mdma, delle copertine, delle feste a inviti, né del Rolling Stones e né di Vice” cantava Niccolò Contessa nel pezzo “Lexotan”, riferendosi a tutti quei drammi che le persone cercano erroneamente di sopprimere attraverso l’utilizzo di medicine, droghe e altre inutili distrazioni. A volte basta semplicemente apprezzare la propria vita e gli affetti stabili per annientare un problema, ricercando quella che spesso assomiglia ad una “sciocca e “ridicola felicità”, ma in realtà si rivela spesso come il vero segreto per stare bene.
Le velleità e la frivolezza
I desideri mortiferi dei giovani – e non solo – sono sempre dietro l’angolo, dalle “anoressiche alla moda, anoressiche fuori moda, bulimiche si occupano di moda” come riportato nel brano musicale “Velleità” de I cani. Affrontare il tema del corpo femminile direttamente e la sofferenza che si cela dietro stili di vita malsani non è da tutti, così come la superficialità dovuta alla caducità di rapporti sessuali occasionali e privi di un vero significato. Una canzone dedicata ai “delusi, repressi, frustrati” vittime di un mondo che li inghiotte perché privo della sensibilità umana che nel tempo si è affievolita fino a spegnersi nel buio.
Questo nostro grande amore
La società contemporanea è spesso vittima dei social e della trasposizione della vita privata sopra le piattaforme online. Niccolò Contessa e la sua troupe hanno provato a dare un significato inestimabile all’amore che resiste più delle banche famose come Goldman Sachs, non conosce “Lunedì neri” e tantomeno “Default”. Le espressioni come la “monetizzazione” dell’affetto che si prova nei confronti degli altri, rappresenta il modo in cui spesso le persone decidono di rapportarsi con le proprie emozioni, svendendole al pubblico e alla critica della gente attraverso una sponsorizzazione solo per un guadagno pecuniario.
Non è la storia di un artista
Infine, nei riferimenti testuali de I cani non manca lo psicodramma dei giovani alla ricerca di una vita patinata, identificata nella stereotipo della Milano glamour. Basta ascoltare “Storia di un artista” per rendersi conto del modo in cui spesso i ragazzi si sentono stretti nel posto in cui sono nati e che li circonda e desiderano andarsene in un altrove che promette “la moda e la radio” e la possibilità di “cercare i contatti”. La lettura che viene data di questi giovani è di persone nel fiore degli anni a cui “piacciono i dischi, le foto, i registi, i marchingegni alla moda, le muse, gli artisti. E sentirci diversi, creativi, speciali: tutto, tranne normali”. Una ricerca infinita della stabilità e del consumo, oltre che di un’arte audiovisiva ormai reperibile ovunque. Ad illudere questi ragazzi forse sono le pubblicità o il senso di vuoto che essi portano dentro di loro.