Landini sbaglia anche il regalo alla Meloni: il libro di Camus è un autogol per la sinistra sindacale

11 Nov 2024 13:54 - di Luca Maurelli

Non è un buon periodo, per Maurizio Landini: scioperi-boomerang, case editrici del sindacato indebitate fino al collo, Cgil divisa su Stellantis, lui prono agli Elkann, un governo di destra che fa cose che avrebbe voluto fare la sinistra e una sponda politica fragile con un’opposizione divisa e litigiosa. Ecco perché il segretario con la magliettina bianca sotto la camicia aperta, radici emiliane e un passato (molto, molto lontano) da metalmeccanico, per farsi notare, oltre a sbraitare contro il governo dei fascisti, deve anche inventarsi qualche mossa mediatica che faccia parlare di sè e che sfondi la noia della lagna sulla manovra, un grande classico autunnale insieme alle foglie che cadano e alle prime nebbie in Val Padana.

Landini e il libro di Camus in regalo alla Meloni

Il regalino alla Meloni, annunciato oggi da Landini prima dell’incontro a Palazzo Chigi, denota però un clamoroso vuoto di idee, come quando si va a casa del vecchio zio e gli si porta la bottiglia di Tavernello, per non impelagarsi in scelte delicate da sommelier. “Regalerò al Presidente del Consiglio il libro di Albert Camus, L’uomo in rivolta. Perché se hanno paura delle parole, è bene che colgano un tema. E cioè di fronte a un livello di ingiustizie e di diseguaglianze come quello che si sta determinando, io credo che ci sia bisogno proprio che le persone non accettino più, che non si girino da un’altra parte, che non guardino da un’altra parte”, ha detto il leader della Cgil, che pensava di vincere facile con l’autore comunista così amato a sinistra. Peccato che abbia scelto l’unico libro nel quale Albert Camus, premio Nobel per la Letteratura, nel 1957, comunista militante, intellettuale francese di ispirazione esistenzialista e razionalista, esprimeva tutte le sue perplessità sull’approccio ideologico della sua stessa parte politica e chiedeva di discutere nel merito.

La “rivolta” triste della Cgil e quella nobile dello scrittore

L’uomo in rivolta ha rappresentato uno “strappo” anche dai suoi omologhi, come Sartre: fu pubblicato nel 1951 e approfondiva sì il concetto di rivolta come reazione dell’individuo contro un’ingiustizia percepita, ma atterrava sull’amara constatazione che tutte le ideologie totalitarie, sia di destra che di sinistra, siano forme di oppressione a cui ribellarsi, ma puntando l’indice, in particolare, contro il marxismo-leninismo e la giustificazione della violenza in nome di un fine superiore.  La rivolta in Camus nasce da un “no” dell’uomo di fronte a una condizione intollerabile, ma al contempo afferma un “sì” alla vita e a un insieme di valori comuni e ha in sè il germe della comunità, dell’interesse collettivo, del fine sociale della politica, della democrazia. L’analisi spietata del nichilismo e la critica delle rivoluzioni, da quella francese a quella russa, che “spesso sfociano in nuove forme di oppressione e violenza”, fanno del volume un inno alla libertà, non alla rivolta finalizzata all’utopia politica di un mondo egualitario per omologazione, non per diritti.

La frase che sembra scritta per Landini, più che per la Meloni, è quella che nel libro Camus pone al ribelle, chiedendogli il senso di una rivolta dietro la quale non c’è nulla, se non la rottura dell’ordine esterno, e delle scatole altrui. “Perché rivoltarsi se non s’ha, in se stessi, nulla di permanente da preservare?”, si chiede Camus. Forse il grande scrittore francese pensava agli scioperi dei trasporti per lasciare la gente a piedi pur di attaccare Salvini e il governo.

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