Le idee a posto. Tornare a Federico II: lo “Stupor Mundi” come chiave del presente e modello di futuro

17 Nov 2024 9:29 - di Alberto Samonà

C’è una voce che risuona attraversando i secoli, che parla di un passato in cui la grandezza non era un concetto astratto, ma il respiro vivente di una civiltà. È la voce di Federico II, il grande imperatore attraversa i secoli, con la forza di chi non si limita a governare ma trasforma il mondo. Una grandezza di cui poco si parla e purtroppo è oggi pressoché dimenticata. Eppure Federico è un modello di straordinaria attualità, perché non fu solo uomo del suo tempo: fu il tempo stesso, modellando il presente per pensare e realizzare futuro.

Federico ci ricorda che la cultura non è un lusso, ma una necessità, specie in questi tempi nei quali il senso della propria identità e il coraggio di immaginare appaiono confusi e smarriti. La sua lezione non è ornamento e non può ridursi a esercizio intellettuale, ma costituisce l’ossatura di un grande progetto. Nella sua corte di Palermo, trasformata in una delle fucine intellettuali più straordinarie della storia, diede forma a un’idea di Europa che non si accontentava di sopravvivere: voleva prosperare, creare, essere protagonista. Ecco perché divenne il simbolo di un Sud e di un’Italia centrali nella dinamica mondiale del suo tempo: non periferia del mondo, ma snodo fondamentale, dove la cultura si intreccia con la politica, dove la bellezza non è un sogno, ma una strategia vissuta e perseguita consapevolmente.

L’impero come progetto

L’appellativo di “Stupor mundi” non è certo causale o occasionale, ma sintesi di ciò che egli ha rappresentato e rappresenta tuttora. Federico fu creatore di paradigmi. La sua concezione dell’impero non era una somma di territorio o un’arida burocrazia, ma un progetto che teneva insieme politica, cultura e spiritualità. Il suo mondo era un luogo in cui la sapienza non era semplice erudizione, ma strumento per realizzare un’idea comunitaria, un sistema che abbracciava il Mediterraneo e guardava all’Europa. E oggi si sente più che mai la necessità riannodare i fili dell’eredità federiciana, quale possibilità di straordinaria attualità, di incontro fra una dimensione spirituale di cui egli fu sempre fautore e una quotidianità piena di contenuti e non alla deriva e in balia di ogni genere di slogan.

Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di recuperare questa idea, perché vi è la necessità di educare e ispirare, piuttosto che accontentarci e accontentare. La memoria federiciana ci insegna che la vera autorità non è quella che divide, ma ciò che unisce e innalza. Ecco perché non si tratta solo di un fatto speculativo, ma di una chiave geopolitica. Recuperare l’idea di un’Italia motore del Mediterraneo significa ridefinire il nostro ruolo nel contesto internazionale. Federico comprese che il Mediterraneo non era solo un confine, ma un’opportunità: luogo di incontro e di costruzione. Oggi, in un mondo frammentato, questa lezione è quanto mai visionaria e lungimirante. Così come lo è il suo modello di una politica alta, responsabile, specie in tempi nei quali avventurieri e mediocri maneggioni continuano a bazzicare i palazzi e frequentare le istituzioni, esercitandosi in un vuoto e autoreferenziale esercizio del potere e facendo perdere, in questo modo, credibilità all’intero sistema.  

Andare oltre. Verso Federico

Andare oltre, dunque, un mero esercizio accademico, per riscoprire Federico, modello insuperato nella storia, non per mera riappropriazione storico-culturale o quale “brand” di promozione turistica, ma per creare una nuova consapevolezza, proprio a partire da quella sua visione così lontana nei secoli, eppure così straordinariamente attuale. Questa è cultura, poiché è vita vissuta ma intrisa di contenuti ad ogni livello ed è un insegnamento che arriva fino a noi dalla storia della nostra terra e che dovremmo essere in grado di raccogliere.

La sua riappropriazione sia, dunque, a tutto campo, perché riscoprire Federico II è un fatto di responsabilità: egli non è solo un sovrano del passato, ma un simbolo: investire nella sua visione significa ripensare il nostro modo di essere popolo e di essere Nazione, di essere Europa (non certo quella della BCE o delle consorterie di Bruxelles). In definitiva, di essere civiltà. Significa sfuggire al politicamente corretto, rifiutando la superficialità e la banalità di un dibattito culturale relegato ai salotti radicalchic, per tornare finalmente a parlare di radici e di futuro.

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