L’editoriale. Più Italia per fare (davvero) l’Europa: Fitto è l’ultima tappa di un capolavoro politico
Più Italia in Europa. Senza slogan, con i fatti. Da destra, per tutti. La conferma della vicepresidenza esecutiva dell’Ue a Raffaele Fitto è una vittoria della realtà – e dell’interesse nazionale – sulla cattiva narrazione e la malafede anti-italiana. Ricordiamo tutti la litania a redazioni semi-unificate, no? Quella per cui l’Italia sarebbe finita «in serie B», «isolata» a livello internazionale a causa del governo di destra e della sua agenda euro-realista? È vero l’esatto contrario. La prova ufficiosa, sul Secolo d’Italia lo sottolineiamo quotidianamente, è la centralità che l’esecutivo ha ottenuto da due anni a questa parte sui principali dossier, immigrazione in primis: citofonare al “laburista” Starmer per conferma.
Ecco: da ufficiosa, adesso, è notizia ufficiale. Grazie all’impresa politico-diplomatica di Giorgia Meloni: che è riuscita ad ottenere, con una proposta eccellente targata Fitto (a proposito di classe dirigente: eccola qui) e tanto lavoro per il destino comunitario in Consiglio Ue, un risultato clamoroso per l’Italia. Un risultato superiore al quinquennio precedente, targato giallo-rosso ed eurolirico nei proclami, dove ci si è dovuti accontentare – con Paolo Gentiloni – di un commissario semplice. Tutto ciò Meloni lo ha ottenuto senza alcun inchino, senza strappi con il mandato popolare né annacquamento della propria proposta dentro la Grosse Koalition in scala Ue. Anzi.
Ricordate, anche qui, quanti politici di opposizione e analisti si stracciavano le vesti per l’astensione italiana sui top jobs al Consiglio europeo e per il successivo «no» al discorso di investitura di Ursula von der Leyen? Per la premier si trattò di un problema di metodo: quando Macron e Scholz – le due anatre zoppe, bocciati dai rispettivi elettorati – pensarono ad architettare, senza consultare nessuno, le nomine “nonostante” il responso delle Europee. E successivamente si è trattato di far valere un problema di merito: quando von der Leyen presentò il suo programma aggregando un surplus di tesi dei Verdi, gli altri grandi sconfitti alle urne. Gli stessi che in queste ore – davanti alla “realtà” – hanno annunciato la loro uscita dalla maggioranza Ursula. Illusione durata qualche settimana. Proprio la genuinità e la fermezza della posizione di Meloni, esattamente all’opposto di ciò che lamentavano le prefiche, ha esercitato un ruolo determinante nel garantire all’Italia il riconoscimento della sua ritrovata centralità in seno all’Unione.
Il dispositivo di questo traguardo – non di parte né di partito eppure ostacolato dai socialisti europei con l’incredibile (e rivelatore) appoggio di qualche piddino italiano – è evidente a chi non è accecato dalla faziosità e va oltre il pur importante dato empirico: che vede la premier come l’unico capo di governo, fra i Paesi fondatori, a godere di ottima salute politica. Un caso? No, decisamente no. Anche questo è frutto della capacità di connessione con le sfide del tempo e dell’idea “realista” di Europa che ne consegue. Perché dalla revisione del Patto di stabilità alla riforma del Patto migrazione e asilo, dal price cap alla rimodulazione del Pnrr, dal Piano Mattei europeo alla rilettura del green deal, fino alla proposta di debito comune per sviluppare difesa e strategia industriale dell’Ue, le posizioni e le soluzioni del governo italiano continuano a tracciare una rotta decisamente più aderente alla realtà rispetto a chi vede l’Ue come un grande progetto burocratico e regolatore o a un club a trazione esclusiva franco-tedesca.
Tutto ciò al netto di quello spostamento a destra dell’asse politico europeo che ha già determinato – piaccia o no a certi partner della maggioranza Ursula e ai media di riferimento – la conquista di posizioni storiche per i Conservatori di Ecr in Parlamento e nelle commissioni: sulla scia di quel “modello italiano” di centrodestra cui il governo Meloni è il laboratorio. Insomma, altro che arco costituzionale, cordone sanitario o frattura con l’Ue: all’Italia sono state riconosciute ruolo e capacità di indirizzo politico. Con quest’ultimo, è evidente, che ha ristabilito agli occhi di chi è chiamato a governare la nuova Commissione la naturale collocazione di uno dei Paesi fondatori dell’Ue. Per ottenere ciò occorrevano idee chiare, visione e voglia di assumersi responsabilità: l’esatto opposto di chi è pronto a barattare porzioni di sovranità per un posticino da attore non protagonista nelle tribune del vincolo esterno. Il risultato è più Italia in Europa. Ci voleva la destra al governo per ottenerlo. Così come ci vogliono adesso dosi massicce di Italia per fare, davvero, l’Europa.