Nassiriya, 21 anni dopo: un milione di italiani andò in piazza Venezia per onorare i caduti

12 Nov 2024 12:57 - di Valter Delle Donne
piazza Venezia, Nassiriya

Ventuno anni fa l’Italia scopriva di essere in guerra: l’attentato di Nassiriya ci fece scoprire che le “missioni di pace” sono “di pace” finché non ti sparano contro. A piazza Venezia, cinque giorni dopo la strage, con l’arrivo delle salme, sfilarono un milione di persone, molti di loro per portare un fiore ai caduti. Un milione di persone che scendono in piazza per un motivo che non sia politico o sportivo, in Italia è un evento più unico che raro. Questa la testimonianza del giorno dei funerali.

Strage di Nassiriya: la cronaca di quel 18 novembre 2003 da piazza Venezia

“La vigilessa è graziosa, minuta e ben truccata. Non ha l’aria del pizzardone, semmai della commessa uscita da una boutique là vicino, magari da una jeanseria di via del Corso. La commessa, pardon, la vigilessa, sta piazzata all’angolo con piazza Venezia, praticamente sotto il balcone del Duce.

Fa rigare dritti tutti, comanda lei oggi. Con tutti i carabinieri e i poliziotti in giro, fa un po’ sorridere che le sorti di questo posto oggi dipendano proprio da lei.

Cade una pioggia d’ordinanza su piazza Venezia, coreografica, da funerale. Sembra un grande set cinematografico, con tanto di effetti speciali. Hanno pensato proprio a tutto, anche alla pioggerellina. Sono gocce lievi, rispettose di questa folla che come un serpente avvolge l’altare della Patria. Oggi anche il Vittoriano sembra bello. Qui a Roma ha fatto sempre schifo a tutti, ma oggi è bella pure la “macchina da scrivere” come la chiamava qualcuno con disprezzo tutto romano.

Saranno le lacrime del cielo, retoriche, come è retorico tutto in questa piazza più piccola del solito. Retorico come le bandiere a mezz’asta, i cavalli, i carabinieri in alta uniforme, i vecchi in fila col bastone, i bambini docili in braccio. Sono molte le donne che piangono, hanno facce da madri.

Passo sotto la palina che riporta le sedici linee dell’Atac, che ogni giorno dodici ore al giorno vede assiepati turisti, pendolari, cittadini, borseggiatori, ragazzini che hanno saltato la scuola, barboni e umanità più varia che variopinta. Oggi la fermata è deserta. “Fermata soppressa” riporta una scritta di pennarello stinto come trucco di un clown.

Ecco, ora ho capito cosa rende la piazza più bella. Sono i fiori, non quelli dell’aiuole del centro, di giallo e di un rosso così timido da sembrare viola. No, non sono quei fiori prefabbricati. Sono gli altri, quelli sulle scale, sgargianti, disordinati. Anzi, non sono nemmeno i fiori. È ciò che li avvolge, quelle carte argentate dorate, prese da fiorai di borgata, quelle con i colori da uova di pasqua. Viene voglia di avvicinarsi per cercare della cioccolata, tra quelle carte così belle e così chiassose, meravigliosamente dissonanti.

È tutto bello in questa piazza oggi. Sì, bello. È l’aggettivo più giusto.

E sembra anche tutto nuovo, oggi, qui nella piazza. L’ultima volta che l’ho vista così speciale c’era la neve. Piazza Venezia forse è come l’Italia, dà il meglio di sé nei momenti più imprevedibili. Ogni giorno che ci passo davanti la guardo con faccia disgustata. Mi dà fastidio il traffico, il casino, la puzza, il rumore, lo smog, i giapponesi che attraversano in blocco, i vigili che ti mandano sempre in una direzione diversa, le ambulanze, le autoblù fuori servizio che scarrozzano il potente di turno.

Oggi è un altro posto. E poi non c’è niente di tragico. Manca lo strazio, c’è dolore, ma è ordinato. Insospettabilmente ordinato. Ma siamo a Roma? E poi il silenzio. Quando mai tutta questa gente è rimasta in silenzio? Non lo so, ma l’ultima volta sarà accaduto alla Messa di Natale. Hai presente quelle famiglie dove si fa il segno della croce prima del pasto? L’ospite che non è abituato sta quasi per inforcare lo spaghetto, ma si ferma all’ultimo, si ferma e si adegua, facendosi il segno della croce. Rimane in silenzio e imita il padrone di casa. Ognuno di noi oggi fa come l’ospite.

C’è quel silenzio là. Composto, misurato, leggermente imbarazzato. Timido come questa pioggia, che continua a cadere leggera. Meno male che sono passato, penso. Io c’ero. Lo so, fa tanto concerto rock. Ma ho fatto bene a esserci. Italia. Ci hanno insegnato ad amarti solo durante i mondiali di calcio. Forse non pare brutto piangere sotto quei tre colori, verde, bianco e rosso. Forse gli italiani sono meglio di come ce li raccontano. Ma non lo diciamo in giro, sennò ci montiamo la testa. La pioggia continua a cadere e non avere l’ombrello stavolta aiuta a mascherare le lacrime. Certo, le hanno pensate proprio tutte”.

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