Nazione&finanza. Non solo Trump: i dazi sono una mania bipartisan. Meloni, l’asso nella manica dell’Ue
Donald Trump è un personaggio poliedrico, odiato dagli avversari, idolatrato dagli alleati. Su una cosa, però, tutti concordano: negli affari è un mastino. Non necessariamente aggressivo, ma quando si attacca a qualcosa, non molla la presa. È questo il contesto in cui si inserisce il dibattito sui dazi. Trump è convinto che l’Europa abbia goduto finora della spesa militare americana senza pagarne il conto. Non solo: secondo lui, ha sfruttato la debolezza dei suoi predecessori per conquistare quote di mercato a scapito delle aziende americane. La sua soluzione? Tariffe doganali più alte. Ma davvero i dazi sono un’esclusiva di Trump?
Biden, Trump e la questione dei dazi
Dazi fino al 102,5% sulle auto cinesi, accompagnati da una pioggia di altri oneri su prodotti importati dal Dragone, come pannelli solari, batterie e chip. Un estratto del programma dei primi cento giorni di Trump alla Casa Bianca? Nemmeno per idea. È una misura firmata da Joe Biden lo scorso maggio. Ecco perché è utile fare qualche passo indietro per comprendere meglio il quadro.
«Fino ad ora l’unico che mi ha parlato di dazi come “minaccia” è l’attuale collega statunitense. Amministrazione Biden. La pretesa era eliminare le indicazioni geografiche che secondo il collega producono chiusura del mercato. Il suo riferimento in particolare era al Parmigiano Reggiano che, secondo lui, proteggevamo ingiustamente impedendo al Parmesan di essere venduto in Europa». Lo dice il ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida. Confermando che i dazi non è solo un capriccio trumpiano, ma una mania bipartisan negli Stati Uniti. E, nonostante ciò, i nostri settori di eccellenza continuano a crescere.
Quanto costerebbero i “dazi trumpiani”?
Trump promette «dazi al 10% su tutti» i prodotti importati e «un 60% sui prodotti cinesi». Quanto ci costerebbe questa misura? Tra i 4 e i 7 miliardi di euro, secondo una stima di Prometeia. Ma attenzione: chi conosce la politica sa bene quanto una promessa elettorale possa mutare durante il tragitto dal palco alla firma della legge. “Tutti” è una parola utile per raccogliere consensi, ma difficilmente applicabile sul piano legale.
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— Karli Bonne’ 🇺🇸 (@KarluskaP) November 13, 2024
Ad esempio, l’agroalimentare italiano potrebbe essere colpito. Questo settore, infatti, soffre di una fortissima asimmetria commerciale: da una parte l’Italia si oppone agli Ogm, dall’altra chiede deroghe per esportare prosciutti provenienti da zone colpite dalla peste suina africana. Che venga colpita la farmaceutica è assai meno probabile: noi facciamo i precursori, i veri profitti li fanno le aziende produttrici americane.
Meloni, la carta italiana per trattare con Trump
E allora, qual è la soluzione? Trump ha un suo stile nelle negoziazioni. Come prima cosa, tende a non riconoscere legittimità alla struttura burocratica dell’Ue. In secondo luogo è un “people’s man“. Lui dà, cioè, maggiore importanza alla persona rispetto a carica, ideologia o posizione. Ci ricordiamo tutti di “Giuseppi” ovviamente, e del feeling coi grillini. Ecco, il suo più stretto alleato in Europa è Viktor Orbán, ma non è realistico immaginare il premier ungherese da solo impegnato in una trattativa sui dazi.
La seconda in linea di simpatia è Giorgia Meloni, che ha tutte le carte in regola per questa difficile missione. Dai solidi rapporti con i conservatori e la destra religiosa americana ai buoni termini che ha con Ursula von der Leyen. L’Italia ha pochi settori criticamente esposti, come visto, e di certo non fa paura come la Germania.
Inoltre, Meloni è la leader più salda del continente: in Francia domina una fragile coabitazione, in Spagna Pedro Sánchez dipende dagli indipendentisti catalani, e in Germania Olaf Scholz è già un leader zoppicante. Questa posizione le conferisce una doppia legittimità: è forte in patria e credibile sul piano internazionale. Inoltre, ha già dimostrato di saper prendere decisioni difficili e dire no quando necessario.