Hamas, l’apologia del terrorismo diventa una bandiera: chi la sventola occupa ogni spazio pubblico, piazze e atenei

12 Nov 2024 20:18 - di Ginevra Lai
SEGRE MILANO

Non bastavano le piazze sempre più spesso occupate da manifestazioni e tensioni, orchestrate dai centri sociali. Ora anche gli spazi accademici, quelli destinati alla formazione delle nuove generazioni, aprono ufficialmente le porte a chi fa dell’apologia del terrorismo una bandiera, fino a celebrare chi si è macchiato di atrocità contro civili innocenti. Domani, alla Statale di Milano, verrà presentato il controverso libro “La rivoluzione palestinese del 7 ottobre”, firmato da Filippo Kalomenìdis, persona che non nasconde le sue simpatie per Hamas tanto da pubblicare il macellaio di Khan Yunis, Yahiya Sinwar, in bella vista sui suoi social.

Hamas santificato, nemmeno fosse il Papa

Kalomenìdis, autoproclamato «scrittore, poeta e militante politico», nel saggio che anticipa il libro, dipinge i sanguinosi attacchi compiuti dai miliziani di Hamas come «una delle più elevate immagini di Liberazione della storia recente». Parole intrise di lirismo, ma usate per celebrare un’ideologia estremista e le barbarie compiute sui civili. Ancora più atroce è il fatto che venga concesso al soggetto in questione di presentare un libro in un’istituzione accademica. Il tutto grazie al sostegno di gruppi come Giovani palestinesi, Intifada studentesca, Panetteria occupata, un centro sociale milanese. Una scelta che lascia interdetti molti osservatori e figure pubbliche, che si chiedono come sia possibile che un’ateneo presti il fianco a simili iniziative.

L’indignazione delle comunità ebraiche

La scelta di ospitare una presentazione di questo tipo ha suscitato immediate reazioni. Alessandro Litta Modignani, storico sostenitore della causa israeliana e coordinatore di Ponte Atlantico, non ha esitato a denunciare l’evento: «Se nelle università si dà spazio alla propaganda pro-terrorismo, significa che sono anch’esse ostaggio di Hamas». Modignani si interroga su chi abbia autorizzato una simile iniziativa e se la nuova rettrice sia disposta ad assumerne la responsabilità.

A condividere la sua indignazione è Davide Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica di Milano, che definisce l’incontro «l’ennesimo capitolo nel festival dell’apologia del terrorismo che troppo spesso vediamo nella nostra città». Romano esprime una preoccupazione profonda per un fenomeno che, tutt’altro che isolato, sembra invadere ormai il nostro quotidiano. «Con l’aggravante – aggiunge – che se per una volta lo scorso 7 maggio l’Università Statale aveva deciso di tenere un convegno su Israele, non ha poi avuto la forza di mantenere l’impegno arrivando addirittura a cancellarlo». Scene come quelle di Amsterdam potrebbero presto ripetersi se anche «istituzioni di rilievo, come le università, già si arrendono a minoranze fanatiche», conclude Romano.

Kalomenìdis e le provocazioni sui social

Alla ricerca di visibilità e followers, Kalomenìdis ha risposto su Instagram al Giornale, che aveva riportato la notizia per primo. «Vi aspettavamo, squadristi sionisti e censori neofascisti», ha scritto sul post, immaginandosi forse come un supereroe avvolto in un mantello. In un crescendo di insulti, l’estremista ha preso di mira il giornalista Alberto Giannoni, accusandolo di islamofobia e di sostenere i «crimini contro l’umanità» di Israele. Nel suo sfogo, Kalomenìdis ha menzionato anche Repubblica, per poi attaccare la libreria Feltrinelli di Arezzo, colpevole, a suo dire, di aver cancellato una tappa del suo tour per «paura della mafia sionista» — un attacco che, più che altro, sembra una trovata pubblicitaria.

L’atto vandalico dell’ultima ora

Dopo l’atto vandalico dal sapore antisemita al murale per Liliana Segre, Milano assiste ad un altro attacco contro un’opera di aleXsandro Palombo.  Stavolta non è il volto ad essere vandalizzato ma il corpo di Ahoo Daryaei, posizionato di fronte al Consolato dell’Iran, che celebrava il coraggio della giovane studentessa arrestata e internata in un centro psichiatrico in Iran dopo essersi spogliata in segno di protesta davanti a un’università di Teheran. Il suo omaggio alla ragazza deve essere «un monito a non voltarci dall’altra parte. A lottare insieme a loro per non essere complici e indifferenti». Con la scritta «Freedom» sui suoi slip, il murale esorta a diffondere un messaggio di libertà e solidarietà, amplificando l’urlo silenzioso di chi lotta davvero per i diritti negati, non certo per vendere più copie.

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