“Quella meteora a destra”: la scommessa di Futuro e libertà e la parabola finiana viste da Carmelo Briguglio
Libro accattivante e “ruffiano”, denso di riflessioni mai scontate e di interrogativi pregnanti a oltre dieci anni dal “fattaccio”, la nascita e la scomparsa quasi fulminea di Futuro e Libertà. Un periodo sufficiente per leggere quella stagione controversa a distanza di sicurezza da risentimenti postumi, intenti apologetici, interpretazioni vittimistiche e anguste accuse di tradimento, che ancora lambiscono il racconto dell’ultima stagione finiana. “Quella meteora a destra. Fini contro Fini: il caso di Futuro e libertà al tempo di Giorgia” (edizioni Kimerik. 2024) di Carmelo Briguglio, siciliano di carne e di mare, giornalista colto e politico di vecchia scuola, colma un deficit di scrittura sulla breve, appena tre anni, e per molti versi fallimentare esperienza politica voluta, interpretata e sepolta dal fondatore di An. Un frutto acerbo, colto troppo presto sotto l’ombra ancora ingombrante del Cavaliere?, come ipotizza Salvatore Merlo nell’introduzione al volume. Un errore di ingenuità politica? Una stella cadente da cui trarre ancora una fievole luce?
Carmelo Briguglio rilegge la meteora di Futuro e Libertà
L’esperienza di Futuro e Libertà naufragata nelle urne e l’ultima stagione del “finismo” sono al centro di un’analisi originale, che colloca quella meteora nel lungo viaggio della destra del dopoguerra, posizionandola tra le tappe di una traversata nel deserto che non prevede parentesi, ma che è attraversata da uno stesso fiume carsico che appare e scompare. E che oggi con il governo Meloni, erede di quel lungo e sofferto percorso, sembra prendersi una sonora rivincita. Un viaggio per dirla con Kerouac che parte da Almirante, Michelini, De Marsanich, prosegue con Rauti, conosce la stagione liberatoria di Alleanza nazionale, frutto di una grande intuizione di Fini, le secche della fusione a freddo del Pdl, la meteora di Fli per rigenerarsi con un nuovo inizio sigillato da Fratelli d’Italia. “Le storie non vivono mai solitarie: sono rami di una famiglia, che occorre risalire all’indietro e avanti”. Il libro, come osserva Bocchino compagno d’arme dell’autore nella battaglia ‘futurista’, “contiene un dizionario di sbagli e per questo motivo è utilissimo. Non solo per chi voglia oggi esaminare i fatti di un passato ormai remoto”.
Sottrarre l’ultima stagione finiana all’oblio della storia
Tra i meriti del volume di Briguglio, prefazione di Salvatore Merlo e postfazione di Italo Bocchino, quello di sottrarre l’ultima stagione finiana all’oblio colpevole e imbarazzato per restituire alla comunità nazionale e a chi vive di politica un pezzo della storia della destra. Nessun reducismo di ritorno per l’autore che fu protagonista di primo piano di quell’esperienza. Nessuna scorciatoia. Nessuna tentazione di sostituire ai fatti politici gli accadimenti umani e le esegesi pseudo-psicologiche. L’intento esplicito è proprio quello di andare oltre la cronaca della vicenda finiana e di coglierne criticamente il fil rouge. Una retrospettiva – scrive Briguglio – che ha richiesto una sofferta lucidità chi è stato partecipe di quella avventura e ne ha condiviso gli errori commessi e subìti.
L’idea ‘lunga’ della destra italiana e gli errori ‘sacri’
Tre le chiavi di lettura per non perdere la rotta. L’idea unitaria e ‘lunga’ della destra italiana, come un popolo in cammino che si rinnova di generazione in generazione. Tra questi svetta il congresso di Fiuggi, mitopoietico, che resta agli atti della storia come il nuovo inizio. Una stella polare ma anche una nuova fonte a cui abbeverarsi per tanti anni a venire. Esperienza lacerante, dolorosa, lontana anni luce da operazioni di maquillage. L’abbandono della casa del padre, la modernizzazione, la rottura con l’equipaggiamento post-fascista venato di abbondante folclore, la nascita di una destra repubblicana e inclusiva sono le basi per comprendere l’attualità. Per comprendere l’ultimo Fini – sostiene l’autore di Una meteora a destra – è da lì che bisogna partire, dal leader di successo e stimato uomo delle istituzioni. Del resto la svolta finiana (“lo strappo” per i media distratti e pigri) del 1995 non fu un’improvvisata perché affonda le radici nell’autunno del ’93 con le elezioni comunali di Roma quando Fini, ancora segretario del Msi, nel duello con Rutelli, sposta milioni di voti e anticipa le mosse future. Un’altra chiave interpretativa che attraversa il libro è la sacralità dell’errore politico: senza errori non si avanza, sono “beni immateriali dello spirito pubblico”, dice Briguglio coniando una fortunata definizione. Le sconfitte dunque costruiscono le vittorie in un’alternanza vitale di salite e discese. Ma c’è dell’altro: in politica non esistono parentesi, periodi da cancellare, fogli da strappare. E l’esperienza di Futuro e Libertà, per quanto ‘meteoritica’ non lo fu.
L’effetto specchio destra-sinistra
Ultimo “codice di accesso al lettore” l’effetto specchio destra-sinistra e un’analisi impeccabile del dialogo inevitabile tra gli opposti. che talvolta possono conoscere percorsi speculari attraversati da un filo invisibile. L’ormai iconico “Che fai mi cacci?” di Fini rivolto a Berlusconi ha qualche assonanza con il “vi cacceranno” di Pietro Ingrao rivolto ai ‘frazionisti’ del manifesto di Rossana Rossanda dopo la Bolognina. Molto schietta l’analisi del finismo impossibile, una mai attecchita categoria ideologica foriera di cattivi presagi, una sbandata dovuta alla piaggeria e non solo di alcuni finiani. Nessuna giustificazione dell’incompiutezza struttura di Fli, un non-partito troppo dipendente dalla persona di Fini, privo di progettualità politica e tenuto insieme dall’unico collante di un antiberlusconismo tout court, comodo alibi che impedì l’elaborazione di un programma e di una successiva prassi. Tante le contaminazioni incapacitanti che si registrano via via: una vocazione molto lab, immagini e alleanze estranee all’etica e all’estetica della destra, che alla prova dei fatti fotografarono la distanza siderale con gli elettori e il sentimento popolare della destra.
Un non partito tenuto insieme dal collante dell’antiberlusconismo
Briguglio passa in rassegna con rara lucidità le tentazioni ondivaghe della acerba creatura finiana, la seduzione dello ‘sfondamento a sinistra” di rautiana memoria (altri tempi e condizioni storiche) definita un vicolo cieco dimostrato da sperimentazioni locali fallimentari. Utopie mescolate a eretiche sintesi culturali del tutto impolitiche. Tra gli errori impossibile non annoverare la svolta giacobina e l’accelerazione verso un laicismo esasperato estraneo alla tradizione della destra italiana con posizionamenti di sfida alla Santa Sede. Futuro e Libertà sembrava navigare a vista alla ricerca di un nuovismo senza radici e prospettive di lunga gittata. Anche qui l’analisi è tranchant: “Fli, forse senza saperlo, assumeva i connotati di un epigono azionista, francamente molto vintage, un po’ patetico”.
Il rapporto di sudditanza con lo scaltro Re Giorgio (Napolitano)
Di sicuro interesse l’analisi del rapporto di sudditanza tra Fini e l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano. Scaltro e potente, fascista di ispirazione bottaiana e poi comunista integerrimo e all’occorrenza soft, “re Giorgio” ebbe sull’allora presidente della Camera un ascendente particolare che portò a una cieca fiducia mal riposta. Fu Napolitano a rinviare di un mese la discussione della sfiducia a Berlusconi dando il tempo al premier, sotto l’abile regia di Verdini, di prendersi i voti necessari per restare a Palazzo Chigi. Fini del resto “si misurava con una biografia di spessore e tortuosa che veniva da più lontano di lui”. Fu un errore macroscopico che l’autore fotografa con realismo politico e umana pietas. La mozione di sfiducia al Cavaliere nel dicembre 2011, mai discussa collegialmente, fu un abbaglio che decretò l’uscita definitiva dalla coalizione di centrodestra e ruppe per sempre il vincolo con il corpo elettorale che quella coalizione aveva scelto. Ma forse, osserva Briguglio, se fosse andata diversamente il destino di Fli avrebbe preso una direzione ancora peggiore. In caso di vittoria qualcuno immaginò che Napolitano avrebbe dato a Fini l’incarico di formare un nuovo governo di responsabilità nazionale, molto più verosimile, come poi avvenne, che avrebbe consegnato l’esecutivo nelle mani di un tecnico come Mario Monti.
La sfida ad armi impari con Berlusconi
Fini, al quale si riconoscono carisma e meriti storici nel traghettare il piccolo vascello della destra missina verso sponde nuove, non aveva le carte in regola per sfidare Berlusconi con aspettative di vittoria; non aveva le risorse, le entrature e le alleanze per sostenere la pugna contro l’uomo più potente d’Italia. La pattuglia dei finiani, alla quale l’autore apparteneva, era un gruppo simile agli “straccioni di Valmy”. Difficile da interpretare la genesi di quella postura. Fini aveva improvvisamente perso la razionalità e la misura che lo aveva sempre caratterizzato? Cercò deliberatamente il bacio della morte tornando all’ispirazione iniziale, alla purezza del rischio degli anni giovanili? Al paradigma eterno dell’eroe solitario? Forse non lo sapremo mai, dice Briguglio. Di certo ha pagato un prezzo molto alto per gli errori.
La scommessa meloniana di allargare i confini del primo partito italiano
“Il conservatorismo finiano fu fagocitato dal populismo semi-liberale del Cavaliere”, scrive Merlo nell’introduzione. Molti anni dopo Giorgia Meloni avrà, al contrario, uno spazio concreto, agibile anche se non comodo, per costruire un partito conservatore moderno, del quale Fini rappresentò la scintilla iniziale. Il libro, per quanto molto severo nella lettura dell’ultima stagione finiana, si sforza con successo di leggere l’operato del fondatore di An nella sua interezza, per un bilancio del leader e dell’uomo di Stato. L’avventura di Fli fu vissuta da molti protagonisti con la passione della “giusta causa” pur restando un esempio negativo della rigorosa lezione weberiana.
Meloni e la scommessa oltre FdI
Il libro si conclude interrogandosi sul nesso tra la sfortunata esperienza di Fli e la stella meloniana sviscerando il luogo comune di una leader che corre più veloce del suo partito, smarrito tra giovanili – e minoritari – torcicollo e diatribe di eredità pregresse. La narrazione stereotipata di una premier che giganteggia accanto ai grandi del mondo mentre i suoi si accapigliano sotto i riflettori impietosi della stampa. La militante della Garbatella oggi a Palazzo Chigi non pare accontentarsi dell’esistente, ben consapevole della mission: allargare l’area del primo partito italiano che sfiora il 30% al di là dei confini della riva destra. Un’operazione difficile, certo, e molto ambiziosa. Resa più facile da un’opposizione urlante e grossolana che non seduce neppure gli elettori più lontani da Fratelli d’Italia.