Trump sigilla il confine col Messico con una telefonata. E per la pace si affida a un “veterano” del Vietnam

28 Nov 2024 16:46 - di Alice Carrazza
Trump Messico

Donald Trump, fresco di una vittoria elettorale che lo riporta alla Casa Bianca, non perde tempo e interviene a gamba tesa su guerra e immigrazione. È bastata una chiamata alla presidente messicana per ottenere la ciò che voleva da tempo: chiudere le frontiere. «Ho appena avuto una bellissima chiamata con la nuova presidente, Claudia Sheinbaum Pardo. Ha accettato di fermare la migrazione attraverso il Messico e verso gli Stati Uniti, chiudendo di fatto il nostro confine meridionale», scrive il tycoon su Truth Social. «Una conversazione produttiva», l’ha definita con un filo di ironia scatenando il plauso dei suoi sostenitori.

Dazi come leva: la strategia Trump

Dietro il successo della conversazione, vi è però una minaccia precisa. Trump aveva annunciato un dazio uniforme del 25% su tutti i beni provenienti dal Messico se il Paese non avesse adottato misure per contenere il flusso di migranti e droghe verso gli States. La presidente Sheinbaum, prima di sentire Trump aveva fatto la “finta dura”. «Se ci saranno tariffe statunitensi, anche il Messico aumenterà le proprie», dichiarava in conferenza stampa. Ma il gioco ha retto poco e in un post successivo Trump l’ha confermato: «Il Messico impedirà alle persone di raggiungere il nostro confine meridionale, con effetto immediato. QUESTO FARÀ MOLTO PER FERMARE L’INVASIONE ILLEGALE DEGLI USA. Grazie!!!»

Trump ha alzato la posta anche con l’Oriente, minacciando di imporre un ulteriore dazio del 10% alla Cina, accusata di essere la fonte primaria dei precursori chimici per il fentanyl che i cartelli messicani contrabbandano oltre il confine. «Milioni di vite distrutte inutilmente» ha dichiarato il gigante repubblicano, annunciando una campagna pubblicitaria per sensibilizzare gli americani sui pericoli del fentanyl.

L’ombra lunga della guerra in Ucraina

 The Donald però non si ferma, vuole fermare la guerra. Secondo un rapporto della Cnn, il presidente sta valutando diverse opzioni per risolvere il conflitto. Un piano, del generale e veterano in Vietnam Keith Kellogg, prevede che gli aiuti militari americani all’Ucraina siano subordinati a negoziati di pace e a una politica di cessate il fuoco. Un’altra proposta, avallata dall’ex ambasciatore di Trump in Germania, Ric Grenell, parla di “regioni autonome” all’interno dell’Ucraina. Un termine volutamente ambiguo, privo di dettagli, che sembra un tentativo di pacificare la Russia senza perdere Kiev.

Più controversa l’idea di permettere alla Russia di mantenere i territori occupati in cambio dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Una soluzione che sembra avere poche chances di essere accolta dall’entourage di Trump. «La deterrenza va ripristinata» ha dichiarato il futuro consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, insistendo sulla necessità di anticipare l’escalation piuttosto che subirla. Non a caso, Vladimir Putin ha lasciato intendere che Mosca potrebbe colpire «centri decisionali» nella capitale ucraina. La minaccia arriva poche ore dopo un attacco massiccio alle infrastrutture energetiche ucraine, che ha paralizzato intere regioni del Paese.

Dissenso represso in Russia: il caso Talantov

Nel mentre, Mosca non perde occasione di stringere la morsa sui dissidenti. Dmitry Talantov, avvocato e critico della guerra in Ucraina, è stato condannato a sette anni di carcere per aver definito, in alcuni post su Facebook,  le azioni dell’esercito russo «pratiche estremamente naziste». L’Onu ha chiesto il suo immediato rilascio, ma il Cremlino sembra determinato a usare il pugno di ferro contro quella che definisce «quinta colonna».

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *