Battesimo senza champagne per il governo Bayrou: nessuna base parlamentare, punta sull’usato sicuro
François Bayrou ha presentato il suo governo lunedì 23 dicembre, ma l’atmosfera è tutt’altro che natalizia. Tra vecchi volti, tensioni interne e una sinistra col piede di guerra, il primo ministro francese cammina su un filo sottile, teso tra compromessi difficili e l’urgenza di virare a destra per rassicurare Marine Le Pen e blindare il proprio futuro politico.
Bayrou si circonda di facce già viste per “rassicurare i francesi”
Bayrou ha presentato la lista dei ministri, spiegando ai microfoni di Bfmtv di aver optato per figure di provata esperienza per «rassicurare e riconciliare i francesi». Il nuovo esecutivo, con 35 ministri e sottosegretari – sono 6 in meno rispetto al precedente – segna un ritorno al passato con personalità già note o, per meglio dire, riciclate. Come ad esempio, l’ex premier Élisabeth Borne, che ritorna sulla scena come ministro all’Educazione nazionale, mentre Manuel Valls, anch’egli già primo ministro, guiderà il dicastero dei Territori d’Oltremare.
Il vecchio che avanza
Macron, ancora una volta, sembra incapace di proporre nuovi volti, affidandosi a scelte che sanno di déjà vu. Con un risultato politico che, per gli osservatori politici francesi, sembra già scritto ancor prima che il gioco inizi.
Se il ritorno di figure storiche come Valls e Borne ha attirato critiche dalla sinistra, è la destra a emergere come vero pilastro dell’esecutivo Bayrou. Simbolo di questa svolta è Gérald Darmanin, promosso alla Giustizia, affiancato da Bruno Retailleau, confermato all’Interno. Entrambi rappresentano l’essenza del potere repubblicano francese che punta sulla sicurezza e su una linea intransigente in materia di ordine pubblico.
Va sottolineato che Darmanin ha acquisito una certa notorietà sui nostri giornali per gli slogan elettorali alla vigilia delle Europee che avevano accomunato Meloni e Le Pen. Il 4 maggio 2023 aveva attaccato duramente il nostro premier associandola a Marine Le Pen in una intemerata contro i sovranisti. Parole che avevano mandato in fibrillazione le relazioni diplomatiche con il governo di Parigi per diversi mesi.
Bertrand: «Non entrerò in un governo avallato dall’estrema destra»… e perde la poltrona
Sui quotidiani francesi tiene banco anche l’esclusione di Xavier Bertrand, membro dei Repubblicani e presidente della regione Hauts-de-France. Bertrand ha accusato Bayrou di essersi piegato alle pressioni del Rassemblement National (Rn) di Bardella e Le Pen. «Non entrerò in un governo avallato dall’estrema destra», ha dichiarato Bertrand, rivelando che inizialmente gli era stato offerto il Ministero della Giustizia, salvo poi vedersi negata la nomina. Bayrou ha però smentito ogni ingerenza del Rn, parlando di divergenze insormontabili con Bertrand su temi di giustizia.
Bayrou ambiguo su pensioni e immigrazione
Nonostante i proclami di esperienza e stabilità, Bayrou ha evitato di sbilanciarsi sui temi più caldi. Durante l’intervista su Bfmtv, il primo ministro ha definito il deficit e il debito pubblico «un Himalaya» da scalare, ma non ha fornito dettagli su come affrontare la riforma delle pensioni, preferendo rimandare le scelte decisive a dopo le vacanze.
Sull’immigrazione, Bayrou ha escluso l’introduzione di una «grande legge», bollata come semplice propaganda, concentrandosi invece sull’aumento delle espulsioni per chi non ha diritto a rimanere sul territorio francese. Ma questa linea prudente non ha placato le critiche. Jean-Philippe Tanguy, deputato del Rassemblement National, ha avvertito: «Senza una nuova legge, finirà male».
Una fiducia che non verrà chiesta
Consapevole della precarietà del suo esecutivo, Bayrou ha già dichiarato che non chiederà la fiducia dell’Assemblea nazionale sulla sua dichiarazione di politica generale il 14 gennaio. Una mossa che gli consente di evitare un’immediata censura, ma che non cancella le nubi all’orizzonte. La sinistra radicale di Mélenchon è infatti già pronta a colpire, Marine Le Pen non farà sconti a Macron se ne capitasse l’occasione e la fragile maggioranza in Parlamento lascia pochi margini di manovra.