Eccone un altro: Ruffini si dimette e fa il martire. «Io in campo? No». Ma l’addio è un “comizio” contro il governo

13 Dic 2024 8:22 - di Annamaria Gravino
ruffini dimissioni

Dopo giorni di rumors intorno a un suo possibile ruolo di federatore, vai a capire se della sinistra o del centro, il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha lasciato il suo incarico: le dimissioni, secondo quanto rivelato dal Corriere della Sera, sono state presentate giovedì mattina al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. In una lunga intervista alla stessa testata, Ruffini, 55 anni, alla guida dell’Agenzia delle Entrate dal 2017 per nomina del governo Gentiloni e prima ancora di Equitalia con il governo Renzi, ha smentito di voler scendere in campo, ma ha rivendicato il suo «diritto di parlare» e di occuparsi di politica «da cittadino», scagliando insieme una serie di accuse al governo, che suonano tanto come la preparazione del terreno esattamente per ciò che dice di non voler fare. Con uno schema già visto e, guarda caso, carissimo alla sinistra: andare all’attacco facendo la vittima.

Ruffini dà le dimissioni dall’Agenzia delle Entrate

«No», ha risposto secco Ruffini alla domanda diretta di Fiorenza Sarzanini che firma l’intervista. «Non scendo e non salgo da nessuna parte». Eppure tutto nell’intervista, neanche troppo tra le righe, parla di una strada che va in quella direzione. Con quella dose di vittimismo, si diceva, che sembra ormai diventato il tratto caratterizzante di quelli che, compiendo legittime scelte di vita, vogliono darsi una cert’aura di martirio civico. Se ne sono visti vari in questi due anni, dalla Rai ai tribunali. «Il clima è cambiato», ha sostenuto Ruffini. «Dimettermi è l’unico modo per rimanere me stesso», ha proseguito, descrivendosi poi come un «un avvocato che da tanti anni scrive e partecipa a incontri pubblici su ciò che ci unisce, come la Costituzione e l’uguaglianza», facendo venire in mente il termine inglese “advocate”, che sta per chi una causa la promuove piuttosto che discuterla in tribunale, un attivista. Ha difeso il suo senso dello Stato, rivendicando che «la mia unica bussola in questi anni è stata il rispetto per le leggi e per il mandato che mi è stato affidato», lamentando che «ho letto però che parlare di bene comune sarebbe una scelta di campo. E che dunque dovrei tacere oppure lasciare l’incarico».

Il dibattito sulla sua “discesa in campo”

Le sollecitazioni sulle dimissioni in queste ore sono arrivate spicciole in maniera bipartisan, da Matteo Renzi e da Maurizio Gasparri, ma a leggere l’intervista sembra che Ruffini sia stato oggetto di un insostenibile fuoco di fila. In realtà, sull’ipotesi di una discesa in campo si è esercitato soprattutto un agitatissimo fronte progressista, sempre in bilico tra l’attesa del messia e il timore che arrivi davvero qualcuno a occupare spazi oggetto di mire di tanti.

L’attacco di Ruffini al governo: «Combattere l’evasione sembra qualcosa di cui vergognarsi»

Il vero affondo, però, arriva dopo: «È stata fatta persino una descrizione caricaturale del ruolo di Direttore dell’Agenzia, come se combattere l’evasione fosse una scelta di parte e addirittura qualcosa di cui vergognarsi». E, ancora, «non mi era mai capitato di vedere pubblici funzionari essere additati come estorsori di un pizzo di Stato. Oppure di sentir dire che l’Agenzia delle Entrate tiene in ostaggio le famiglie, come fosse un sequestratore. Ho taciuto sinora, per senso dello Stato. Attenzione però: se il fisco in sé è demonizzato, si colpisce il cuore dello Stato; tanto più che il livello della tassazione lo decide il legislatore, non l’Agenzia. Personalmente ho sempre pensato che a danneggiare i cittadini onesti siano gli evasori».

Poi però rivendica i risultati della lotta all’evasione, conseguiti con questo esecutivo…

E c’è qualcosa di paradossale nel fatto che, alla domanda su cosa lo renda più orgoglioso, Ruffini risponda rivendicando i risultati della lotta all’evasione e delle politiche per il recupero tributario, conseguiti proprio con questo governo. Ruffini si è detto fiero «in primo luogo, del calo dell’evasione, che è scesa di circa il 30 per cento, e parallelamente dei record di recupero che abbiamo stabilito, fino a superare i 31 miliardi incassati in un solo anno. A volte – ha però aggiunto – sembra quasi che contrastare gli evasori sia una colpa e ci si preoccupi più di questo che degli ospedali che chiudono, delle scuole che non hanno fondi o della carenza di servizi perché le risorse sono insufficienti. Lo ripeto, se tutti contribuissimo in ragione della nostra condizione economica, tutti pagheremmo meno (molto meno) e avremmo la concreta possibilità di avere a disposizione servizi migliori». Ma l’indirizzo di politica fiscale la dà il governo, come lui stesso ha chiarito, o il direttore dell’Agenzia delle Entrate? E perché questi risultati sono stati conseguiti oggi che, a dire di Ruffini, la lotta all’evasione sembra quasi «qualcosa di cui vergognarsi» e non negli anni in cui al governo c’erano quelli che proclamavano quanto sia bello pagare le tasse, ma il direttore dell’Agenzia delle Entrate era lo stesso? «Rivendico il diritto di parlare», ha detto Ruffini. Per tutti resta anche quello di porsi domande.

 

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