L’intervista. Fiorillo: “Su droghe e violenza giovanile le famiglie devono riprendere il controllo dei figli”

1 Dic 2024 9:45 - di Felice Massimo De Falco

Disagi, discriminazioni, bullismo, violenza, baby-gang, abuso di alcool e droghe sono segnali che stiamo coltivando in casa una Generazione modello “Arancia Meccanica”. Ne abbiamo parlato con il professor Andrea Fiorillo, docente di psichiatria all’Università Vanvitelli di Napoli, Presidente della società europea di psichiatria e membro della commissione per la salute mentale istituita dal Ministero della Salute.

Professor Fiorillo, la cronaca ci consegna ogni giorno casi di minori coinvolti in vicende criminali, specie a Napoli. Come si spiega questa furia violenta già in età minorile?

“Si tratta di un fenomeno allarmante e purtroppo in costante aumento. Nonostante la violenza abbia caratterizzato da sempre il genere umano, un recente report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha documentato che la violenza rappresenta la principale causa di morte per i soggetti di età compresa tra i 15 e i 44 anni. Ogni anno, oltre un milione di persone perdono la vita a causa di atti di violenza e molti di più sono coloro che subiscono lesioni non fatali. Molti soggetti che vivono in contesti socialmente deprivati, dove la violenza rappresenta un elemento intrinseco e costitutivo della loro esistenza, non pongono adeguata attenzione a tali comportamenti violenti. Ma uno dei problemi principali della società moderna è proprio la mancata percezione del fenomeno, in quanto la violenza può essere identificata e trattata in maniera preventiva, e la ‘cultura violenta’ può essere eradicata. Inoltre, per gli adolescenti, è necessario considerare che il rischio di assumere comportamenti violenti è ulteriormente aumentato per il cosiddetto ‘mismatch neuroevolutivo’, cioè una disincronia tra la maturazione del sistema limbico (quell’area del cervello deputata al controllo delle emozioni e dei comportamenti impulsivi) e dell’area esecutiva”.

Armi e coltelli in tasca, abuso di droghe e alcool. E’ una generazione sopraffatta dall’annichilimento della coscienza. Quali fattori ambientali e psicologici si muovono alla base di tutto questo?

“I fattori alla base dei comportamenti violenti sono molteplici, e possono essere schematicamente suddivisi in fattori biologici, ambientali e psicologici, che possono interagire tra loro aumentando il rischio di adottare comportamenti a rischio come abuso di alcol o utilizzo di sostanze psicoattive. Tra i fattori ambientali, un ruolo determinante è svolto dal contesto socioculturale in cui il soggetto nasce e cresce. Infatti, alcuni fattori come il tasso di povertà educativa, la deprivazione sociale, la disoccupazione e o il basso income economico rappresentano alcuni fattori noti che favoriscono l’adozione di comportamenti violenti. Va specificato che tali fattori da soli non sono sufficienti per spiegare la comparsa di atti violenti, ma è la presenza simultanea di diversi fattori contestuali che aumenta il rischio di adottare comportamenti violenti”.

Facciamo un focus sulle droghe. É davvero così dirimente fare un distinguo tra droghe pesanti e leggere per quanto riguarda i potenziali sviluppi psicopatologici?

“Da un punto di vista psicopatologico, non è così rilevante distinguere tra droghe pesanti e droghe leggere, soprattutto per quanto riguarda i rischi legati all’uso e all’abuso di tali sostanze. Sicuramente la distinzione va fatta per quanto riguarda invece gli effetti di queste sostanze sul cervello. Anche le droghe considerate leggere attualmente disponibili sul mercato illegale sono – da un punto di vista chimico – potenziate, per cui il rischio di dipendenza e di abuso, oltre che l’impatto sulla salute generale dell’individuo, è fortemente aumentato rispetto alle sostanze disponibili circa 20 anni fa. A tal proposito, è emblematico il caso della cannabis, che oggi contiene percentuali di THC (tetraidrocannabinolo, il principio attivo responsabile degli effetti psicoattivi della sostanza) molto più elevati rispetto al passato. Per tali motivi, le droghe attualmente disponibili – da un punto di vista clinico e scientifico – vengono definite “ad alta potenza” e si associano ad un rischio considerevole per la salute. Inoltre, un fenomeno emergente e assai pericoloso è la diffusione delle Nuove Sostanze Psicoattive (NPS, novel psychoactive substances ndr), sostanze che vengono sintetizzate in maniera artificiale, spesso in laboratori artigianali, e che non sono ancora rubricate negli elenchi delle sostanze psicoattive: si tratta di sostanze estremamente pericolose in termini di mortalità e rischio di abuso/dipendenza”.

Eppure le nuove frontiere della psichiatria sono riposte nell’uso degli psichedelici.

“Il campo della ricerca in farmacologia clinica per il trattamento dei disturbi mentali gravi è in continua evoluzione. Negli ultimi anni c’è stata una riscoperta dei farmaci cosiddetti psichedelici, che hanno come target il sistema dei recettori per la serotonina, così come mediatori intracellulari come fattori di crescita precoci, la β-arrestina e il sistema dopaminergico. Questa nuova classe di farmaci è estremamente promettente in termini di efficacia e, se ben utilizzati, sono privi di effetti collaterali oltre che del loro potere di abuso”.

Da un’indagine, le donne bevono alcool più degli uomini, ma in sostanza domina la cultura dello sballo. Quali saranno le conseguenze?

“La cultura dello sballo, cioè essere alla ricerca di emozioni forti ed estreme, rappresenta un elemento caratteristico dell’età giovanile e o adolescenziale, come conseguenza di quel mismatch tra lo sviluppo biologico di alcune aree cerebrali deputate al controllo delle emozioni e alla ricerca delle emozioni – che si sviluppano prima e che non sono adeguatamente controllate – e la maturazione della corteccia cerebrale. Inoltre, a queste evidenze neurobiologiche si associa una componente sociale, in cui la perdita di modelli di riferimento, la continua evoluzione dell’anatomia e della strutturazione delle famiglie e dei legami sociali, così come la rarefazione degli incontri ‘reali’, rappresentano ulteriori elementi che complicano tale quadro”.

Voi psichiatri che ruolo potete avere per frenare questa deriva generazionale?

“Gli operatori della salute mentale e gli psichiatri in particolare possono svolgere un e in particolare alla popolazione giovanile, informazioni chiare ed appropriate sui rischi per la salute mentale associati all’assunzione di comportamenti a rischio, così come dell’importanza di rivolgersi agli operatori sanitari nel caso in cui vi siano segnali aspecifici di un malessere, che non necessariamente evolverà in un disturbo mentale conclamato. Parlare, confrontarsi tra pari o chiedere un consulto specialistico deve diventare un’abitudine nella vita di tutti”.

Le famiglie che ruolo giocano… quando ci sono?

“Le famiglie hanno un ruolo essenziale in quanto rappresentano la prima esperienza ‘sociale’ per i ragazzi e gli adolescenti. Possono rappresentare il primo luogo in cui una difficoltà, un problema o un disagio viene presentato e discusso; i genitori dovrebbero riappropriarsi del ruolo di riferimento per i propri figli, essendo autorevoli e presenti. Purtroppo, per vari motivi, la famiglia ultimamente ha perso questo ruolo e chi ne paga le conseguenze maggiori sono proprio i ragazzi”.

In crescita anche il bullismo, nonostante l’attenzione dei media. Come crescerà un adolescente bullizzato?

“Il bullismo viene attualmente considerato uno dei più importanti fattori traumatici che possono verificarsi nella vita di un giovane, lasciando delle ‘cicatrici’ durature nella mente e nel cervello della persona bullizzata. Quanto più l’evento di bullismo viene perpetrato e ripetuto nel tempo, oppure condotto da coetanei, tanto maggiori saranno i rischi per la salute mentale della persona che subisce l’evento. Pertanto, è necessario mettere in campo azioni preventive, volte ad identificare precocemente tali comportamenti, per garantire la comparsa di problemi psichiatrici sia nella persona bullizzata che nel cosiddetto bullo”.

Per affrontare quest’emergenza generazionale serve un network multidisciplinare. Secondo lei come dovrebbe funzionare?

“Il network multidisciplinare riconosce un ruolo essenziale non solo alle istituzioni sanitarie, come i centri di salute mentale o i centri di neuropsichiatria infantile o gli studi dei medici di medicina generale e/o i pediatri di libera scelta, ma ha come ‘snodi’ essenziali il coinvolgimento attivo delle istituzioni scolastiche, dei luoghi di aggregazione giovanile, delle famiglie. È solo con un lavoro di rete, coordinato e continuativo, che è possibile gestire e mitigare tale emergenza generazionale”.

Altro tema è la violenza sulle donne, il revenge porn, la sottomissione spesso taciuta della figura femminile all’ombra del maschio-padrone. Alcuni invocano l’educazione sentimentale a scuola. Ma servirebbe?

“L’educazione sentimentale rappresenta un costrutto complesso che è difficile da ‘insegnare’ direttamente nelle scuole. Spesso i ragazzi imparano da soli l’educazione sentimentale. Sarebbe necessario educare i giovani al riconoscimento delle emozioni, alla gestione delle frustrazioni, al rispetto per l’altro (soprattutto se donna o se più fragile) e soprattutto all’importanza di rivolgersi in maniera ‘spontanea’ agli specialisti che operano nel campo della salute mentale, senza timore di essere per questo stigmatizzati o considerati strani”.

 

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