L’odio fra i sessi è il “rumore” del neo-femminismo: il problema non è il maschio bianco fuori da sé ma…
Ci siamo appena lasciati alle spalle novembre, con il suo giorno 25 dedicato al contrasto della violenza sulle donne: un mese di manifestazioni, eventi, piazze più o meno violente, rabbia scomposta, cortocircuiti ideologici, vip in disgrazia alla ricerca di un po’ di gloria riflessa, dissertazioni sulla TV pubblica su come fare diminuire i figli maschi bianchi e, ovviamente, accuse al governo in carica, responsabile di ogni male. Tutti i giorni, tutto il giorno. Un mese per sentenziare che la colpa è del maschio bianco eterosessuale che va rieducato se non…eliminato. Una cosa che, dopotutto, sapevamo già da tempo. Ci viene insegnata da almeno un decennio. E allora, a cosa è servito tutto questo urlare, strepitare, fare rumore?
Qui prodest, dicevano gli antichi? Quante donne sono state salvate mentre le signore di “Non una di meno” latravano frasi irripetibili incitando all’eliminazione fisica dei “Pro vita”? Quante violenze sono state evitate mentre costoro sfogavano la loro cieca rabbia nelle piazze? Quante vite ha messo in salvo chi ha strumentalizzato la propria tragedia personale per attaccare il Governo, anziché cogliere l’occasione di lavorare insieme per la causa? A pensar male, si direbbe che i femminicidi sembrano quasi un pretesto per alzare continuamente il tiro, rinverdire l’odio contro il bersaglio storico, il maschio. Facciamo rumore, continuano a ripetere.
E se invece di questo tanto celebrato e invocato rumore, servisse proprio un attimo di silenzio? Se quello di cui la società ha bisogno fosse un momento per riflettere, deporre le armi, indietreggiare e abbandonare tesi precostituite in favore di una riflessione vera, sana, onesta? Difficile, in un mondo in cui il femminismo, da decenni orfano di battaglie vere – quelli sull’universalità dei diritti e delle libertà fondamentali – deve oggi autoalimentarsi inventandone di surreali: combattiamo il mansplaning, il catcalling, il manspreading e se ti dice che stai meglio senza trucco, sappi che è violenza (si, lo hanno scritto davvero). In fondo, l’odio tra i sessi è ragion d’essere e motore immobile di tutto questo pittoresco quanto pericoloso circo. D’altronde, non è un caso che le femministe storiche schifino apertamente questo ciarpame: ma per chi oggi grida nelle piazze che il mondo sarebbe migliore senza il maschio, queste sono battaglie imprescindibili.
E va da sé che tentare di dialogare con chi per sopravvivere deve odiare è praticamente impossibile. Perché decretare che il maschio possa essere alleato, complice, custode della donna, senza che questa perda le proprie prerogative e libertà, sarebbe un atto di eutanasia per il femminismo. E, stranamente, ai progressisti l’eutanasia piace solo quando a praticarla sono gli altri. Non parlano di uomo ma di maschio. E lo vogliono prostrato, sottomesso, disposto a chiedere scusa per il male che altri hanno causato. Poco importa che questo serva a qualcosa, la vittoria delle femministe moderne è proprio lì, nel maschio – non più uomo, non più persona – che obbedisce ad assurdi diktat per essere socialmente accettato. Nel maschio che va in televisione a sparare percentuali a caso per dimostrare che “non c’è altra spiegazione che questa, siamo tutti colpevoli”.
Ciascuna di queste donne, un giorno, scoprirà che il problema non è l’uomo bianco fuori da sé, ma la donna incompiuta dentro di sé. Intanto, a tutto questo non si può che rispondere con una parola: alleanza. Alleanza nella famiglia, nucleo fondamentale della società, alleanza nelle battaglie quotidiane, alleanza nella fatica, nel dolore, nella sofferenza. Alleanza per costruire, edificare, crescere ed educare. Riconoscersi diversi e per questo complementari è certamente percorso complicato e impegnativo per lo spirito. Richiede una profonda consapevolezza di sé e una grande capacità di ascoltare e percepire l’altro, le sue ragioni, i suoi bisogni, le sue paure e le sue fragilità.
Ma è su quest’alleanza, checché ne dicano le urlatrici, che poggia il mondo. E, per questo, ne varrà sempre la pena. A proposito, benvenuto dicembre.