Mi manda Prodone: “Stimo Ruffini, è un amico, ma non sono io il burattinaio del centrosinistra”
Regista, manovratore, burattinaio, suggeritore del candidato Ruffini, esattore delle tasse perfetto per il centrosinistra? No, assolutamente. Nei giorni della polemica a distanza con la premier Meloni, Romano Prodi si lancia in una lunga intervista nella quale si ritaglia un ruolo marginale nella politica attuale, anche in quello scacchiere centrista. “È una premessa sbagliata. Intorno a me non ruota nulla. Non ho un dialogo sistemico con nessuno da molto tempo. Mi limito a scrivere quello che penso, e continuerò a farlo, questo sì. Ma non c’entra col ruolo che mi si attribuisce. Non sono più determinante”, dice l’ex premier in un colloquio con il ‘Corriere della Sera‘.
Prodi e l’amico Ruffini pronto a scendere in campo
Prodi non si riconosce nemmeno nella narrativa che lo vuole promotore della possibile candidatura di Ernesto Maria Ruffini, ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, come federatore di un centro cattolico. “Ruffini lo conosco e lo stimo. Siamo amici da tempo. E anni fa feci anche la prefazione a un suo libro. Ma se dovessi lanciare tutti quelli a cui ho fatto prefazioni, la lista formerebbe da sola un partito”. “Quanto all’idea di un partito cattolico di cui sarei il mallevadore o il regista, non appartiene alla mia cultura politica. Sono cattolico ma la costruzione di un partito cattolico a mio avviso è impossibile, e direi velleitaria”, osserva.
Poi le solite accuse al governo. “Questa destra è più insidiosa di quella guidata da Silvio Berlusconi. Quanto abbiamo ascoltato alla festa di Atreju dice che FdI si rifà a radici estremistiche e verbalmente violente. Ritengo l’attacco personale che Meloni mi ha riservato un segno di grande debolezza e insicurezza. Quanto ho detto è un semplice indizio politico. Possiamo fare anche l’esame analitico, se si vuole. Ribadisco: Meloni è obbediente. Lo è stata prima con Joe Biden e poi con Donald Trump. Questi sono fatti. È chiaro che essendo ubbidiente è apprezzata. Ed è stata ubbidiente prima con Orbán, poi con von der Leyen”, dice Romano Prodi, che poi ammette: “Il Governo Meloni è stabile, sì. Ma si è stabilizzato -prosegue l’ex premier- al prezzo dell’immobilismo. Stabilità e unità sono state pagate con una legge finanziaria di piccole concessioni, e con l’assenza totale di riforme. E questo perché nella coalizione esistono tensioni molto forti. Meloni finora le ha gestite con abilità. Non escluderei, tuttavia, che se dovessero aggravarsi possano portare a tentazioni di elezioni anticipate”.