Schlein afona su Elkann: la segretaria dem incapace di dire una cosa di sinistra

4 Dic 2024 7:30 - di Viola Longo
schlein elkann

Timidissima nei mesi scorsi, Elly Schlein è riuscita a non parlare proprio in questi giorni convulsi seguiti all’uscita di Carlos Tavares da Stellantis. Confermando non solo che per lei la questione Elkann è assai spinosa, ma dimostrando che forse lo è perfino più di quanto sembrava. Perché con l’ormai ex Ceo fuori dai giochi è direttamente a Jaki che bisogna riferirsi, come infatti sta facendo tutta la politica. E non basta la chiamata in Parlamento arrivata anche dal Pd a risolvere il caso: considerate le condizioni date, da una leader che ha l’ambizione di dirsi di sinistra ci si aspetterebbe l’elmetto, anche se ha tendenze pacifiste.

Schlein muta su Elkann

Poteva essere una bella copertina perfino per Vogue, che Elly scelse a suo tempo come testata per fare l’esordio mediatico da segreteria dem. Allora le misero addosso un trench glamour e understatement il giusto; oggi avrebbero potuto metterle un parka dal sapore militare, chissà. Ma il punto è che si sarebbe trattato di dire una cosa di sinistra a rischio di dispiacere l’editore di riferimento. Del resto, è stato il punto di tutto questo lungo periodo di tentennamenti su una crisi che si è vista arrivare, eccome. Ma durante la quale Elly ha preferito attaccare il governo, che pure si faceva in quattro, piuttosto che il rampollo della “famiglia reale” dell’industria (fu) italiana, non sia mai che Repubblica e La Stampa, anche loro timidissime nel riferire dei guai provocati da Stellantis, si fossero dispiaciute.

Conte le fa “ciao ciao” da Pomigliano d’Arco

E poiché in politica non esistono spazi vuoti che non vengano riempiti, lo spazio lasciato vuoto da Schlein se l’è preso di gran corriera Giuseppe Conte, che subito si è precipitato a Pomigliano d’Arco e ci mancava che dicesse un “tiè” rivolto alla sua competitor per chiarire oltre ogni ragionevole dubbio cos’era andato a comunicare davvero davanti a quei cancelli. Vedremo se nelle prossime ore Schlein si scuoterà dal sonno, ma per ora sembra brancolare nel buio con un cerino in mano. E dire che questa poteva essere la sua occasione di riscatto, il megafono dal quale rivendicare che, no, la sua sinistra non è solo quella del diritto universale all’armocromia. Ma – anche, semmai – quella dei diritti dei lavoratori, dimenticati nella notte dei tempi in cui la sinistra si convinse che la classe operaia era diventata ceto medio e dunque, tutto sommato, non più affar suo. Poi, ci sono state le crisi degli anni duemila e pure il ceto medio è diventato classe operaia, ma dalle parti che furono prima di Botteghe oscure e poi del Nazareno avevano preso così tanto a concentrarsi sui diseredati dell’altra parte del mondo da non vedere più quelli sotto casa.

Elly e l’incapacità di dire una cosa di sinistra

Succede quando per la tua visione politica scegli un orizzonte che si staglia nello spazio tra le pulsioni woke e l’ossessione del fascismo. Se poi anche il glorioso sindacato dei metalmeccanici si distrae su certi argomenti, viene meno pure quel faro che magari poteva essere una guida per chi è cresciuto nella convinzione che l’Erasmus sia lo specchio del mondo. Ora, è chiaro che certe sensibilità non si maturano da un giorno all’altro, ma c’è quel detto anglosassone che in alcune occasioni viene in aiuto: “Fingi che sia vero finché non diventa vero”. Ecco, l’impressione è che Schlein sia così avulsa dalla tradizione culturale e politica della sinistra storica da avere problemi non a dire una cosa di sinistra, ma anche solo a fingere di pensarla.

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