Sgarbi racconta le madri e i figli nell’arte: la “Natività” bussola che attraversa le epoche
Il Sacro, il Bello, l’Eterno, sintetizzati nella Natività, vista nella sua dimensione insieme terrena ed artistica: è questo il senso più immediato dell’ultimo libro di Vittorio Sgarbi dal titolo emblematico Natività. Madre e Figlio nell’arte (La nave di Teseo, pagg. 372). In tempi di facile (e volgare) relativismo “ritrovare” la maternità nella sua essenza universale significa andare oltre l’immediatezza della creazione artistica, per cogliere il senso della Vita, del suo significato più profondo.
Sgarbi: “La Natività è il principio di tutto”
“La Natività – dice Sgarbi – è il principio di tutto. La sua sintesi è nella immagine della Madre che tiene in braccio il Bambino: essa non mostra il potere di Dio ma la semplicità degli affetti, in Giotto come in Pietro Lorenzetti, come in Vitale da Bologna, come in Giovanni Bellini, come in Bronzino, come in Caravaggio. Maria nell’atto della maternità non è una maestà lontana, in trono, che tiene in braccio un bambino che è già divino: è semplicemente, nella maggior parte delle rappresentazioni, una mamma con il figlio. Per questo la maternità di Maria non è un tema religioso ma un tema umano. Il soggetto è semplicemente la vita”.
Nella lettura di Sgarbi la Natività supera i confini della “semplice” (ma universalmente riconosciuta) bellezza di un capolavoro per diventare qualcosa di diverso, di più profondo, di più umano. Come accade per l’Annunciazione e i Santi Ansano e Massima di Simone Martini (1333), definita da Sgarbi un “memorabile passo di danza, immerso nell’oro”. O come, dall’altra parte del tempo e degli stili, nel caso delle “Due madri” (1889) di Giovanni Segantini che non mette solo a confronto, sulla tela, la maternità dell’animale e quella di una giovane contadina: “La luce — spiega Sgarbi — non è un elemento soprannaturale, il luogo non è un luogo astratto, è solo una stalla, dov’è però possibile riscontare la naturalezza e la verginità di sentimento che il mondo moderno stava perdendo”.
La Natività, una bussola che attraversa le epoche
In questo itinerario, scandito dall’Arte, l’autore di Natività offre alla sensibilità e alla riflessione del lettore una sorta di bussola, in grado di attraversare le epoche ed insieme i sentimenti, le passioni e le paure di una Madre, colta nella sua complessità: dolce, fisica e vulnerabile nell’atto di porgere il seno al figlio in grembo (come la mostra Ambrogio Lorenzetti, nella “Madonna del latte, 1325 ca), timida ed impaurita nell’Annunciazione di Lorenzo Lotto (1534 ca), fiera del simbolo della maternità come appare nella “Madonna del parto” (1450-1465) di Pier della Francesca, nell’intimità della Notte Santa con l’Adorazione dei pastori (1608) di Rubens, per arrivare all’Ottocento e al Novecento, con le opere di Previati, Segantini, Pietro Gaudenzi. Di quest’ultimo la “Mamma con il bambino” (1920 ca), caratterizzata da “un’intensa partecipazione affettiva, che ammorbidisce e umanizza”, in un’umanità semplice eppure avvolgente.
E’ un processo di analisi/integrazione affascinante, laddove laicità e sacralità si fondono, ben oltre gli stili e le epoche. Nel dipingere la sua “Virgo lactans”, Ambrogio Lorenzetti – nota Sgarbi – aveva ripreso la tradizione bizantina della Vergine Galaktotrophousa; con il risultato di esprimere la sacralità di un atto umanissimo per se stesso sacro; mentre Michael Mallory aveva intuito che lo stesso Lorenzetti “ha fatto a meno di quasi tutti i dispositivi simbolici. E ha concepito l’immagine esclusivamente in termini di gesti e azioni umane. La Vergine, che guarda teneramente al suo figlio, diventa in questo dipinto l’incarnazione dalla maternità, sia umana che divina. Mentre il Bambino, che scalcia e si dimena, afferma l’elemento umano della doppia natura di Cristo”.
Sgarbi nei labirinti della femminilità
L’analisi di Sgarbi è – com’è nel suo stile – debordante, con felici “contaminazioni” di pittura e scultura, ma anche di cinema e letteratura, in grado di farci intravedere i mille, labirintici volti della femminilità e della maternità. Su questi percorsi anche una poesia di Pier Paolo Pasolini, citata, in premessa di Natività, aiuta a comprendere l’essenza universale di un tema oggi, spesso, incompreso e snaturato.
La poesia di Pasolini
Scrive Pasolini nella Supplica a mia madre (1962): “È difficile dire con parole di figlio / ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio. / Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, / ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. / Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: / è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia. / Sei insostituibile. Per questo è dannata / alla solitudine la vita che mi hai data. / E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame / d’amore, dell’amore di corpi senza anima. / Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu / sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù: / ho passato l’infanzia schiavo di questo senso / alto, irrimediabile, di un impegno immenso. / Era l’unico modo per sentire la vita, / l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita. / Sopravviviamo: ed è la confusione / di una vita rinata fuori dalla ragione. / Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire. / Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…”.
E’ il segno di un’aspettativa che si rinnova. Ed è – in fondo – il grande dono del Santo Natale. Un dono quotidiano che va ben oltre le contingenze mondane e gli auguri d’occasione, invitandoci – per dirla con Sgarbi – a vedere la Natività come il principio di tutto e a viverla ogni giorno dell’anno.