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Bambine uccise a Southport: la strage islamista che i laburisti di Starmer hanno minimizzato

Cronaca - di Alice Carrazza - 22 Gennaio 2025 - AGGIORNATO 23 Gennaio 2025 alle 13:37

Il 29 luglio scorso sarà ricordato come uno dei giorni più bui della recente storia britannica. Nel centro ricreativo della città di Southport, durante un innocente saggio di danza sulle note di Taylor Swift, Axel Muganwa Rudakubana, diciassettenne all’epoca dei fatti, si è trasformato in un assassino spietato. Armato di coltello, ha tolto la vita a tre bambine – Bebe King (6 anni), Elsie Dot Stancombe (7 anni) e Alice da Silva (9 anni) – e ferito gravemente altre otto persone, tra cui una insegnante. Ma la tragedia di Southport non è solo un dramma umano, è una storia di fallimenti politici, mistificazioni ideologiche e repressione del dissenso. E oggi, a mesi di distanza, il governo laburista guidato da Keir Starmer si trova con le spalle al muro, costretto ad ammettere ciò che fino a ieri aveva negato: quella strage è stata un attacco terroristico, ispirato dall’ideologia islamista.

Strage di Southport, le ombre sul passato dell’attentatore

Axel Muganwa Rudakubana non era un volto sconosciuto alle autorità. Già segnalato dall’antiterrorismo britannico come potenziale radicalizzato, il giovane possedeva un manuale di addestramento di Al-Qaeda e una certa quantità di ricina, una sostanza tossica potenzialmente letale. Eppure, nonostante un curriculum di aggressioni e atti violenti, nessuno lo ha fermato. «Qualcosa chiaramente è andato storto», ha dichiarato ieri Starmer in conferenza stampa, annunciando l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla strage.

Per mesi, però, il governo ha minimizzato la matrice terroristica dell’attacco. L’omicida veniva definito come uno dei tanti «disadattati solitari», mentre i dettagli più compromettenti venivano relegati nell’ombra. Anche di fronte a prove schiaccianti, l’inquilino di Downing Street evitava di riconoscere esplicitamente l’influenza dell’ideologia islamista, limitandosi a parlare di una «nuova minaccia» di violenza individuale alimentata dal web. 

La repressione del dissenso dopo la strage di Southport

Dopo la strage, la rabbia popolare è esplosa. Tra il 30 luglio e il 7 agosto, ventisette città britanniche sono state teatro di manifestazioni contro l’immigrazione di massa. La risposta delle forze dell’ordine è stata durissima: 1.280 arresti, 796 persone sottoposte a provvedimenti giudiziari, con oltre 200 condanne emesse in tempi record e 570 imputati portati a processo entro fine estate. E non solo: una vera e propria caccia alle streghe si è scatenata contro chiunque esprimesse opinioni critiche online. Post su Facebook e tweet sono stati monitorati con zelo, portando all’arresto di cittadini che si erano limitati a esprimere indignazione. Un contrasto stridente rispetto alla lentezza con cui le autorità avevano gestito l’attentatore. Come è possibile che un radicalizzato noto all’antiterrorismo sia stato lasciato libero di agire, mentre i cittadini comuni sono stati perseguitati con una rapidità implacabile? Una domanda che, finora, è rimasta senza risposta.

La verità sul multiculturalismo

Tuttavia, quello di Southport non è un caso isolato. È l’ultimo capitolo di una lunga serie di fallimenti nel gestire le tensioni culturali e sociali generate da decenni di politiche multiculturali mal calibrate. Dalle grooming gang pakistane, che per anni hanno abusato impunemente di migliaia di ragazze britanniche, all’attentato alla Manchester Arena, i segnali di una crisi sistemica sono sotto gli occhi di tutti. Eppure, la risposta politica è stata spesso quella di insabbiare, minimizzare o deviare l’attenzione su capri espiatori convenienti.

Nel caso della cittadina costiera, i laburisti hanno cercato di ridurre tutto a un problema di “fake news”. Le proteste nelle piazze sono state attribuite a presunte manipolazioni orchestrate da figure come Tommy Robinson, ignorando il fatto che la collera della gente aveva radici ben più profonde. «Alcuni diranno che è tutta colpa dell’immigrazione o dei tagli ai finanziamenti… nessuno dei due racconta tutta la verità», ha detto il premier inglese. Ma la verità è che decenni di politicamente corretto hanno creato un terreno fertile per la radicalizzazione e la segregazione culturale.

Le parole (e i silenzi) di Starmer su Southport

Durante la conferenza stampa di ieri, Starmer ha cercato di spostare l’attenzione sul futuro, promettendo riforme per evitare che tragedie simili si ripetano. «Non possiamo avere un sistema di sicurezza nazionale che non riesce ad affrontare le persone che rappresentano un pericolo per i nostri valori, la nostra sicurezza, i nostri figli», ha dichiarato. Eppure per mesi il governo ha insistito con la tesi che l’attacco non fosse legato al terrorismo, una narrazione che sembra crollare sotto il peso delle prove. E ancora oggi, il leader laburista evita di affrontare la questione centrale: l’influenza dell’ideologia islamista sull’uomo che ha ucciso a sangue freddo tre vittime innocenti.

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di Alice Carrazza - 22 Gennaio 2025