Dal massacro di Charlie Hebdo agli attentati di Capodanno, il fanatismo non si è mai fermato

6 Gen 2025 7:45 - di Alice Carrazza
charlie hebdo

Dieci anni. Eppure paiono ieri quei concitati minuti del 7 gennaio 2015, quando due uomini armati di kalashnikov – i fratelli franco-algerini Chérif e Saïd Kouachi, – fecero irruzione nella redazione di Charlie Hebdo, a Parigi, falciando dodici vite e creando il panico in tutta la Francia nelle ore successive. Tutto in nome di una vendetta assurda: «12 giornalisti che avevano preso in giro l’Islam per vendicare il Profeta». Lo rivendicò Al-Qaeda, glorificando i terroristi come «eroi jihadisti» e applaudendo al massacro che si concluse con 17 vittime, 22 feriti e una scia di sangue che avrebbe segnato profondamente l’Europa negli anni successivi.

Charlie Hebdo: la storia della strage

Fu una mattanza feroce, avvenuta durante la riunione di redazione, in una tranquilla mattinata d’inverno. Parigi intera si ritrovò attonita davanti allo specchio delle sue fragilità. I due attentatori, che avevano giurato fedeltà all’Isis, figuravano nella «no fly list» americana, sorvegliati speciali dell’intelligence francese fino al luglio del 2014. Poi, l’errore fatale: non vennero più considerati una minaccia.

«Abbiamo ucciso Charlie Hebdo!», urlarono i fratelli uscendo dal palazzo. Ma il destino aveva in serbo un epilogo ben diverso per loro: asserragliati in una tipografia a Dammartin en Goele, finirono uccisi in un blitz delle teste di cuoio, poche ore dopo.

Le vittime, un dolore indelebile come l’inchiostro delle loro penne

Tra le vittime, il direttore Stephane Charbonnier, i vignettisti Cabu, Honoré, Tignous, Georges Wolinski; la psichiatra Elsa Cayat, l’economista e consigliere della Banca di Francia Bernard Maris e il correttore di bozze Mustapha Ourrad. Lo scorso ottobre, infine, è scomparso a 40 anni Simon Fieschi, il primo a essere colpito dai proiettili dei fratelli Kouachi, rimasto paralizzato dalla cintura in giù.

Il mondo si strinse in un “Je suis Charlie”

Seguirono giorni di stupefazione e cordoglio. L’11 gennaio 2015, quattro milioni di persone scesero in piazza a sostegno della rivista e della libertà di espressione, con numerosi capi di Stato e di governo nella capitale. La “Marcia Repubblicana” si trasformò in un appello collettivo, che senza pura gridava: “Je suis Charlie“. Nel frattempo, il settimanale colpito al cuore, ma non ancora vinto – riuscì a riapparire in edicola il 14 gennaio, con una tiratura record di 7 milioni di copie in 16 lingue.

Eppure l’estremismo non si è fermato

Non è un problema soltanto francese, lo sottolinea con forza Laurent Bihl, docente alla Sorbona e specialista di satira: «La paura è evidente». Bihl spiega come oggi non sia una legge censoria a far tremare i vignettisti, ma la minaccia di un’«esecuzione» mediatica e terroristica sui social. «La pressione viene dalla vendetta paventata sui social network e dalla minaccia terroristica, non solo in Francia».

«Esiste un prima e un dopo Charlie», sostiene l’esperta. A confermarlo Riss, direttore editoriale di Charlie Hebdo, che ancora oggi vive sotto scorta, così come la sua squadra, trasferita in un luogo segreto e altamente protetto. Il pericolo è ancora reale, come dimostrano la decapitazione del professor Samuel Paty o gli attentati che hanno insanguinato Bruxelles, Nizza, Berlino, Manchester, Barcellona, Vienna, fino agli ultimi attacchi di Capodanno.

L’edizione speciale di Charlie Hebdo

Malgrado i roghi minacciati, il periodico non abbandona il suo stile pungente, libertario e spavaldo: l’edizione speciale, che contiene vignette selezionate in un concorso internazionale intitolato «Ridere di Dio», vuole denunciare «l’influenza di tutte le religioni» sulla società. «Non hanno ucciso Charlie Hebdo» e «noi vogliamo che duri 1000 anni», ha detto all’agenzia di stampa France-Presse (Afp) il caporedattore Gérard Biard.

Nel frattempo, altrove, si registra un progressivo arretramento degli spazi di satira e libera espressione. Il New York Times, per esempio, ha scelto di rinunciare alle vignette satiriche dal 1° luglio 2019. In Francia, Les Guignols de l’info ha chiuso i battenti già nel giugno 2018.

La voce dell’Imam Chalghoumi

«Sono e sarò sempre Charlie». L’Imam del comune di Drancy, noto per le sue posizioni moderate e il suo dialogo interreligioso, non arretra di un millimetro. Parla all’Adnkronos e ricorda come quegli attacchi abbiano «traumatizzato profondamente la nostra società», rilevando che oggi siamo spesso paralizzati dalla paura. «Una società paralizzata non può progredire» osserva, rivolgendosi in particolare ai musulmani di Francia, perché si uniscano a una «lotta comune, per proteggere la nostra libertà, i nostri valori e la nostra umanità».

Chalghoumi vive anche lui sotto scorta e conosce bene le minacce dei fondamentalisti, che lo considerano un «traditore». Ma non rinuncia a un messaggio di fermezza: «All’arte dobbiamo rispondere con l’arte, alla critica con la critica, ma mai con la violenza, e ancor meno con il sangue».

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *