Delitto Piersanti Mattarella, la pista nera era una bufala. Identificati due sicari di Cosa nostra
Ci sono due nuovi indagati nell’inchiesta sull’omicidio del presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella, assassinato il 6 gennaio 1980 a Palermo. Lo riporta il quotidiano la Repubblica, secondo cui si tratta di soggetti legati alla mafia accusati di essere stati i sicari dell’esponente della Dc, fratello del Capo dello Stato Sergio Mattarella. Per questo agguato sono stati condannati definitivamente solo i mandanti, cioè i boss che facevano parte della commissione di Cosa nostra che ha deliberato la condanna a morte.
Torna in campo la pista ipotizzata dal generale Dalla Chiesa
I giudici hanno invece archiviato definitivamente la fantomatica pista nera ipotizzata con il proscioglimento definitivo di Valerio “Giusva” Fioravanti e Gilberto Cavallini, gli ex terroristi dei Nar, ritenuti tra i possibili esecutori, come ipotizzato nei primi anni ’80 secondo le prime piste investigative. Piste che, oltre 40 anni dopo si sono rivelate polpette avvelenate per sviare le indagini, con ulteriori depistaggi e false informazioni. Su questo omicidio aveva espresso il suo punto di vista qualificato anche il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nella sua intervista a Giorgio Bocca, su Repubblica, ipotizzando invece una pista mafiosa molto precisa con motivazioni altrettanto nitide. «È accaduto questo: che il figlio, certamente consapevole di qualche ombra avanzata nei confronti del padre (Bernardo Mattarella, fondatore della Dc in Sicilia e più volte ministro tra il 1953 e il 1963 ndr) tutto ha fatto perché la sua attività politica e l’impegno del suo lavoro come pubblico amministratore fossero esenti da qualsiasi riserva. E quando lui ha dato chiara dimostrazione di questo suo intento, ha trovato il piombo della Mafia».
L’unica certezza, in questa inchiesta durata oltre 40 anni, è che per lungo tempo i sicari di Piersanti Mattarella sono stati coperti, facendo credere che a sparare potessero essere stati uomini che non appartenevano a Cosa nostra, come pure, accanto ai mafiosi avrebbero potuto esserci, secondo quanto detto dal magistrato durante una sua audizione in Commissione antimafia, anche “mandanti esterni”.
Giovanni Falcone ha dichiarato nel 1990 in Commissione antimafia che l’uccisione dell’esponente politico “presuppone un coacervo di convergenze di interessi di grandi dimensioni”. Adesso la Procura di Palermo, guidata da Maurizio de Lucia che coordina l’inchiesta assieme all’aggiunto Marzia Sabella, ha raccolto nuove rivelazioni, nuovi dati e riscontri, coperti dal massimo riserbo, che rafforzano il quadro dell’accusa nei confronti dei nuovi indagati.