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Il libro. La lezione di Tripodi: quando con le “Frattocchie tricolori” si lottava per l’egemonia culturale
Quando si parla dell’egemonia politico-culturale del secondo dopoguerra italiano non si ricorda mai che, nel maggio 1962, era stato organizzato a Roma il grande Incontro romano della cultura, una manifestazione internazionale del Centro di vita italiana, di cui erano presidente Ernesto De Marzio e segretario Giano Accame, e a cui intervennero grandi intellettuali da tutto il mondo, tra cui il greco Odysseus Elytis, poi premio Nobel per la letteratura, il filosofo personalista francese Gabriel Marcel, il drammaturgo italiano Diego Fabbri e lo scrittore statunitense John Dos Passos. Sullo stesso piano di strategia metapolitica, pochi ricordano che dal 1958 era già operativo l’Inspe (Istituto nazionale di studi politici ed economici), un centro che avrebbe organizzato, sino agli primi anni Settanta, qualificati e autorevoli incontri, convegni, conferenze, corsi di perfezionamento, premi e borse di studio. E che avrebbe messo in campo conferenze, biblioteche e costituito sedi periferiche su tutto il territorio nazionale. La sede era a Roma, in Largo Chigi 19, ed era dotata di un vasto spazio per corsi e incontri, di una sala per la consultazione di riviste e di una biblioteca. L’autorevolissimo storico Gioacchino Volpe ne era il presidente onorario. E tra i fondatori figuravano alcuni tra i più prestigiosi accademici italiani del tempo: da Alberto Asquini a Giorgio Del Vecchio, da Carlo Curcio a Antonino Pagliaro, da Nicola Pende a Vittorio Zincone… Ma l’anima di tutta l’operazione era rappresentata da Nino Tripodi, l’intellettuale, giornalista e uomo politico che ne assunse la carica di segretario generale.
A Tripodi, alla sua opera e al centro intellettuale da lui fondato è dedicato ora uno studio ampio e documentato di Rodolfo Sideri: Il realismo della politica. Nino Tripodi e l’Inspe, (edizioni Settimo Sigillo, pp. 271, euro 26.00), opera meritoria per aver restituito alla memoria un capitolo sinora rimosso della storia politico-culturale del secondo dopoguerra del Novecento italiano. Il libro verrà presentato a Roma, nella Fondazione An, il 13 febbraio, alle ore 18, con la partecipazione dell’autore Rodolfo Sideri, insieme a Pietro Giubilo, Massimo Magliaro, Enzo Cipriano e Domenico Gramazio.
Intanto, come ha sottolineato lo storico Giuseppe Parlato, sia l’Inspe sia il Centro di vita italiana avevano creato un percorso di formazione politica che usciva dal nostalgismo e dallo spirito revanscista della componente minoritaria dei reduci del fascismo, ponendosi invece consapevolmente in sintonia con la dottrina sociale cattolica e prefigurando una intesa intellettuale e metapolitica tra un certo fascismo «antitotalitario, antirazzista e lontano dai miti nazionalsocialisti» e la tradizione di pensiero italiano e cristiano. Basti pensare che al fianco di Tripodi c’era Giorgio Del Vecchio, la cui biografia attestava al meglio queste intenzioni. Nato a Bologna nel 1878, Del Vecchio era, già nel 1920, ordinario di filosofia del diritto all’ateneo romano. Nel ’21, in qualità di mazziniano e di ex volontario nella Grande Guerra, aveva aderito al movimento fascista, «allora una libera associazione – così ne scriverà – che, senza costituire un partito, e accogliendo anzi uomini di diversi partiti ma generalmente democratici (i non democratici avevano allora a disposizione il partito nazionalista) dichiarava di difendere la libertà e la patria, gli stessi ideali per i quali era stata combattuta e vinta la guerra». Del Vecchio, inoltre, che si convertirà convintamente al cattolicesimo era d’origine ebraica, come molti dei fascisti della prima ora, «i quali – rievocherà lui stesso – rispondendo all’appello loro rivolto nel nome della libertà e della patria avevano inteso con ciò suggellare la loro italianità».
Ebbene, il nostro era diventato rettore della Università La Sapienza di Roma dal 1925 al ’27, pur contrastando dall’interno alcuni aspetti della riforma Gentile e alcuni accenti totalitari e giacobini della filosofia attualista. Opzione filosofica che Del Vecchio connetterà a quella «degenerazione» del fascismo che a suo dire si svilupperà attraverso varie fasi: la trasformazione in partito e «la tendenza verso l’autocrazia e il cesarismo, favoriti dall’immensa moltitudine di coloro che si inserirono nel movimento quando l’ora del pericolo era passata per avvantaggiarsi dell’appartenenza a un partito al potere». E infine, ultima degenerazione, le leggi razziali che «furono – scriverà – il passo verso l’abisso». Il paradosso è che Del Vecchio verrà due volte perseguitato ed epurato, prima dal regime fascista e poi dal governo antifascista. Sarà infatti allontanato dalla sua cattedra prima nel ’38 per le leggi razziali (a causa delle sue origini) e, pur dopo una veloce riammissione, anche nel ’45 perché fascista “antemarcia”. Eppure, stando a quanto lui racconta – lo scriverà in un pamphlet dedicato alla sua esperienza – lui aveva «sempre insegnato il culto della libertà, i principi immutabili dei diritti della persona umana e l’obbligo inderogabile dello Stato di rispettarli e difenderli». Morirà anziano, nel 1970, testimoniando sino alla fine un’attività scientifica che lo porrà nel Novecento tra i massimi pensatori italiani del diritto.
Ecco, Del Vecchio figurava tra i promotori dell’Inspe accanto a mostri al linguista Antonino Pagliaro, maestro poi di Tullio De Mauro; al latinista Ettore Paratore; al politologo e storico delle dottrine politiche Carlo Curcio, teorico tra i primi dell’europeismo; al pedagogista Luigi Volpicelli, tra i padri della scienza dell’educazione moderna in Italia; all’italianista Nicola F. Cimmino; all’artista e fondatore della Quadriennale Cipriano Efisio Oppo… La volontà di tutti i promotori era quella, apertamente dichiarata, di aprire una breccia nell’egemonia che la sinistra aveva assunto nell’ambito della cultura italiana attraverso il crocianesimo, l’azionismo, il marxismo, il neorealismo. Tripodi spiegava come fosse allora necessario «incidere pesantemente… con iniziative nuove ed evitando di seguire strade genericamente culturali».
Il calabrese Antonino Tripodi, detto Nino, nato nel 1911 e scomparso nel 1988, fu appunto l’anima dell’Istituto che non si limitò a strutturare, ma soprattutto a dargli quella stessa impronta che aveva caratterizzato tutta la sua attività intellettuale e poi politico-parlamentare. Intensa anche la sua attività giornalistica sin dal dopoguerra e, dal 1969, con la direzione del Secolo d’Italia condotta per tredici anni, al cui interno istituì anche l’inserto Secolo cultura, integrando il quotidiano della destra anche di uno strumento per alimentare il dibattito delle idee tra gli intellettuali d’area.
Un aspetto di non poco rilievo è il fatto che l’Inspe fosse comunque pensato come organismo collaterale al partito, il Msi, e che dal partito stesso fosse finanziato. «Intensa fu – sottolinea Sideri – anche l’attività più legata alle esigenze del partito: dalla formazione dei giovani, ai seminari di natura si sarebbe detta metapolitica, alla prima scuola di partito». Così, il 10 aprile 1961, Tripodi avviava un primo corso di perfezionamento per giovani dirigenti, che si sarebbe svolto nella sede dell’Inspe per 12 giorni ininterrottamente con tre ore al giorno di lezione e due di seminario e discussione. Il corso, riservato a studenti universitari e medi di particolari capacità, dichiarava l’intento di interessare i giovani militanti allo studio dei problemi di fondo che agitavano il mondo contemporaneo e soprattutto l’Italia. Tra i nominativi degli studenti iscritti figurano nomi che diverranno famosi; da Paolo Borsellino a Claudio Finzi, da Adriano Romualdi a Paolo Armaroli, da Francesco Perfetti a Marco Tangheroni, da Danilo Castellano a Aldo Rizza, da Guido Cace a Riccardo Pedrizzi…
Nel 1965, coordinandosi con i vertici di Giovane Italia e Fuan, Tripodi stabilisce un corso con 45 allievi che avrebbe incluso questa volta relazioni degli stessi corsisti. Tra questi anche Pietro Giubilo, futuro sindaco democristiano di Roma, che svolse una tesi sul tema “laicizzazione e tecnocrazia”. Tra i partecipanti si segnalavano anche il futuro storico defeliciano Francesco Perfetti e Massimo Brutti, anni dopo docente di Diritto romano e parlamentare di sinistra. Che dire? Come non considerare il notevole impegno del Msi nella formazione della classe dirigente? Basti ricordare che dal 21 al 31 gennaio 1967 l’Inspe organizzò a Roma l’edizione di quell’anno della scuola di partito alla quale avevano partecipato i dirigenti provinciali del Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori del partito. Inaugurata alla presenza dei massimi dirigenti missini, quel corso si era concluso con un’esercitazione teorico-pratica che aveva dimostrato l’idoneità di tutti i discenti a svolgere ruoli «in posti di comando». Di questi, in particolare, venivano segnalati all’Esecutivo nazionale del Msi, nove corsisti meritevoli di particolare menzione, «tra i quali Antonio Pennacchi, “da Littoria”». Se pensiamo, col senno di poi, che nel 2010,lo scomparso scrittore avrebbe vinto il Premio Strega non si può certo dire che Tripodi e i suoi docenti non vedessero lontano…