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L’analisi. Che cosa resterà di “M”? Poca storia, tante lagne e (forse) qualche buona scena

L’analisi. Che cosa resterà di “M”? Poca storia, tante lagne e (forse) qualche buona scena

Cultura - di Andrea Moi - 19 Gennaio 2025 - AGGIORNATO 19 Gennaio 2025 alle 18:16

Questa non è una recensione che vuole parlare dell’accuratezza storica della serie M, dei rimpianti di Marinelli, né dell’affinità col politico Mussolini o della coerenza col romanzo di Scurati. Questa è una recensione che vuole parlare di ciò che conta davvero in un prodotto cinematografico: la traccia che lascia nell’immaginario collettivo. Ciò che se ne ricorda. Ma per capire questo aspetto vanno evidenziati alcuni elementi legati alla società nella quale viviamo.

La nostra società è immersa nell’infodemia (sovrabbondanza di immagini e informazioni). Ciò che rimane dopo la visione di una serie, di un lungometraggio o di un qualsiasi prodotto che è la somma di immagini e parole, non è l’opera nella sua complessità bensì quello che potremmo definire il succo o la sintesi. Esso non sarà identico per chiunque ma avrà dei tratti simili. Questa sintesi è la somma dei momenti salienti della nostra visione, composta per lo più da tutti i frammenti in cui l’intensità della visione raggiunge i livelli più alti.

Alcuni frammenti che lasciano traccia possono avere un carattere soggettivo perché associati ai nostri particolari interessi, alle nostre curiosità. Ad esempio, un ricordo di un certo spettatore di M può soffermarsi sulla presenza di un Samurai vicino a D’Annunzio. Magari questo spettatore coltiva l’interesse storico per il Giappone, per le arti marziali oppure per le culture orientali ed ecco che al termine della visione, l’immagine che avrà di fronte includerà anche questo aspetto.

Ci sono poi alcuni frammenti che invece tendono a lasciare traccia su gran parte del pubblico. Questi elementi sono quelli in cui l’insieme della fotografia, della musica, e delle espressioni degli attori tendono a unirsi in un momento che potremmo definire di intensità artistica. Questo aspetto non riguarda il giudizio storico o razionale, bensì il lato estetico e irrazionale. D’Annunzio che batte un passo ritmato insieme ai legionari gridando “O Fiume o morte”, il Mussolini trascinatore che chiede ai reduci di continuare a combattere o che parla a teatro, rivolto verso la telecamera, tra i soldati che intonano il canto degli arditi. Sono tutti momenti studiati dalla regia per aumentare l’intensità scenica. Momenti che vengono rilanciati sui social, come estratti per promuovere la serie e che poi, nel marasma della rete vengono ripresi e adattati da altri account in vari contesti, attraverso meme e reel che li decontestualizzano generando comunque un aumento dell’hype sulla serie.

Joe Wright e Antonio Scurati hanno avuto forse intenzioni apologetiche? Possiamo escluderlo. Quello che hanno provato a fare è quello che ogni regista e autore tenta di fare con le proprie opere: creare delle fotografie, dei fermi immagine, delle istantanee che rimangano nella memoria. Quale effetto hanno prodotto nello spettatore? Indignazione, livore, esaltazione? Questa è una risposta che lasciamo a voi.

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di Andrea Moi - 19 Gennaio 2025