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Le donne in politica e la pretesta della sinistra di rappresentarle: la storia racconta altro
La cultura di sinistra si è impadronita, come di tante altre cose, delle donne. In verità, le donne esistono fin dalla notte dei tempi, ovviamente, anche se la loro storia appare più collettiva e di genere che di singole persone: non dimentichiamo però grandi figure come le dee ed eroine del mito greco; molte donne romane e romee, e per una Cornelia troviamo innumerevoli Clodie e Messaline, poi Galla Placidia, Teodora, Irene… Nel Medioevo occidentale, Teodolinda, Matilde, Irma; poi Elisabetta, Cristina, Caterina, Maria Teresa…
Fu con l’affermazione giuridica della società borghese e il Codice Napoleone che la donna venne relegata all’onorato, garantito e repressivo ruolo di angelo del focolare; fonte di tutte le nevrosi femminili della letteratura romantica e dell’opera lirica. Chissà povero Renzo, con Lucia cinquantenne e Agnese ancora vegeta? Durò pochissimo, perché anche la società borghese, come per millenni la comunità contadina, ebbe bisogno delle donne fuori delle case: operaie strapazzate, o diligenti impiegate e maestre… però presto anche in funzioni superiori e più autorevoli. Quanto al voto, era sì dei soli maschi, però anche loro solo se abbienti, e nell’Italia del 1861 assommavano niente di meno che al 2% della popolazione maschile. In Italia, il voto alle donne è del 1946, nella democraticissima Svizzera, del 1970! Il diritto di famiglia è stato modificato in Italia nel 1975.
Prima delle forme, i fatti. Compaiono presto molte donne attive in politica, intendo direttamente e non per interposto maschio: quella che, salendo i fatali gradini, proclamò “se noi donne possiamo essere decapitate, allora possiamo anche votare”; tra le socialiste e comuniste, la Balabanoff, maestra, e non solo, del giovanissimo Mussolini in esilio elvetico; Rosa Luxemburg; la pasionaria Dolores Ibárruri; e nella costituente italiana del 1946 vengono elette una ventina di deputate, precedute da alcune signore elette a sindaco.
E a destra? Troviamo donne tra gli interventisti, e qualcuna tra i fondatori dei Fasci il 23 marzo 1919, detti Antemarcia; e nella Marcia stessa. In qualche altra occasione, sarebbe utile studiarne nome e cose. Grazia Deledda, aderente al Pnf, ebbe il Nobel nel 1926. Mostrò peso culturale, e anche personale, la Sarfatti. Ondina Valla trionfò alle Olimpiadi del 1936. Piuttosto che singole pur notevoli personalità, vale la pena indagare sulla presenza femminile di massa in quella che si può definire, almeno nelle intenzioni, la politicizzazione degli italiani, che si estese anche alle italiane. A loro vennero aperte, anzi diciamo pure divennero obbligatorie le Case del Fascio e le pubbliche manifestazioni e adunate, che coinvolgevano dalle giovanissime (immaginiamo i mugugni forse non tanto dei padri quanto delle nonne e mamme e zie nubili!), alle donne mature e anziane.
Nello stesso tempo, alle donne venne assegnato il compito dell’incremento demografico. Come conciliare la vita sociale con quella familiare, giovarono interventi statali; ma allora, come oggi, il problema era e rimane non del tutto lineare. In Repubblica Sociale ebbe vita il primo corpo regolare femminile, il Servizio Ausiliario Femminile, le Ausiliarie, con organizzazione e gradi militari: le comandava il generale di brigata Piera Fondelli Gatteschi (1902-85), che fu poi attiva nel Msi. Lei, e la variegata figura di Maria Elia, prima De Seta, poi Pignatelli, andrebbero molto meglio raccontate, anzi piuttosto rappresentate nel cinema.
Questa storia delle donne in politica si accompagna ai mutamenti sociologici e di abitudini e mentalità. Può essere assunta come linea discriminante quando, verso gli anni 1980, i partiti non ebbero più un “settore femminile” come fosse quasi una singolarità e concessione; e le donne hanno iniziato a esercitare funzioni di sempre più ampio raggio: vi devo addurre un esempio, o spero di no?
Non è dunque più un problema di schierare donne di destra; serve una battaglia culturale che tolga alla sinistra, o a quel che rimane, la pretesa di rappresentare le donne. Basta affermare che le donne non sono una categoria, e tanto meno un’ottocentesca classe sociale: ma sono persone, e in quanto tali non figure iconiche e astratte, e che hanno pienamente diritto alle loro peculiari angosce e ai conseguenti entusiasmi. Occorrono gli strumenti propri di una battaglia culturale: letteratura, arte, teatro, cinema…