L’editoriale. Il “problema” dell’Italia in pole position? Non è certo dell’Ue: è solo della sinistra

21 Gen 2025 6:30 - di Antonio Rapisarda

La sequenza grottesca a cui abbiamo assistito nelle ultime ore è la seguente: la carovana di commentatori ostili e oppositori politici a Giorgia Meloni intenti a viaggiare all’impazzata contromano nell’autostrada della realtà imprecando – esattamente come fanno gli autisti un po’ suonati – contro tutti coloro che vanno nella direzione corretta. Ossia i popoli europei e quelli americani. Non c’è allegoria migliore, a nostro avviso, per definire l’ondata parolaia giunta dalla sinistra, dalle redazioni e dai talk di riferimento dinanzi all’unico leader europeo fortemente voluto da Donald Trump per la sua investitura a capo di quella democrazia americana che, fino a qualche settimana fa, era La Mecca per il Pd, i suoi influencer e tutti i gruppi editoriali al seguito.

Il travaso di bile dei liberal de’ noantri a commento della cerimonia presidenziale a Washington è il sintomo di un malessere profondo. Ben più grave, dal loro punto di vista, della fantomatica «internazionale nera»: la formuletta con cui sperano di esorcizzare quell’ondata conservatrice che sta (per fortuna) spazzando via il radicalismo woke dall’agenda sociale delle nazioni e l’illusione globalista come metro delle relazioni internazionali. La vera tragedia per costoro è un’Italia che esce una volta per tutte dal “soviet” del vincolo esterno: un po’ cavia delle burocrazie dirigiste di Bruxelles, un po’ ventre molle dell’asse franco-tedesco, un po’ avamposto dell’ingegneria anti-sociale del Green deal e del software cinese.

L’antipasto, indigesto, era stata la “vittoria” europea: l’indicazione di Raffaele Fitto vicepresidente esecutivo italiano dell’Ue, come sigillo di un’agenda Meloni che superava agilmente il muretto (rotto) della Grosse Koalition e riportava l’Italia – dopo anni di velleitarismi a trazione piddina – dove deve stare per natura. Ai vertici dell’Unione. Il piatto forte, poi, ha mandato letteralmente ko la sinistra: Donald Trump ha identificato in Giorgia Meloni colei che «ha davvero conquistato (non “preso d’assalto”, come viene erroneamente riportato) l’Europa». È lei insomma, agli occhi del nuovo presidente Usa, l’interlocutrice «privilegiata» e d’elezione in un’Ue altrimenti corrosa – come le sue vecchie leadership – dalla stessa agenda che ha mandato a tappeto i Democratici americani.

Nulla di più “terribile” questa ritrovata centralità europea, che si traduce adesso in una nuova gerarchia transatlantica, per chi ha coltivato per anni lo spauracchio di Meloni e del destra-centro come elementi che avrebbero isolato l’Italia nel contesto internazionale. La verità, come abbiamo visto, è tutta un’altra storia. E allora ci provano in queste ore con l’ennesima falsa tiritera: «Meloni con Trump farà, al massimo, gli interessi dell’Italia invece che quelli europei…». Come se l’elemento disgregatore dell’Ue, del suo impianto economico, sociale ed industriale, sia la suggestione dell’ultimo momento ribattezzata “tecnodestra” e non trent’anni di concretissima tecnocrazia eurolirica a trazione socialista.

Tanta è l’ossessione anti-governativa, insomma, che a sinistra non riescono ad accettare il fatto che la speranza per l’Europa passa proprio dall’Italia: dalle ricette che Giorgia Meloni propone da anni – sul rilancio industriale, sull’autonomia energetica, sugli investimenti in difesa – e che gli alleati del Pd in Ue hanno impedito in nome, loro sì, di egoismi nazionali. Misure che accettano la sfida della post-globalizzazione, che permetteranno all’Europa di stare “sul ponte” con gli Usa e con tutti altri attori globali. Non sotto un ponte per colpa dei suoi ex governanti che per anni hanno guidato contromano…

 

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