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L’editoriale. Processare un governo perché difende la sicurezza (di tutti): l’ultimo autogol

L’editoriale. Processare un governo perché difende la sicurezza (di tutti): l’ultimo autogol

L'Editoriale - di Antonio Rapisarda - 29 Gennaio 2025 - AGGIORNATO 30 Gennaio 2025 alle 08:43

Non potendo batterlo né abbatterlo non gli resta che sperare di sabotarlo: su ogni caso, dunque, aprire una causa. Sul piano politico, del resto, non v’è più speranza: ad alzare bandiera bianca, seppellendo la natura maggioritaria del Pd e con questo i sogni Elly Schlein, è stato il gran visir Dario Franceschini. Il massimo da quelle parti, secondo il vero “ex” padrino della segretaria dem (se ne accorgerà al momento opportuno), è un’ammucchiata che dovrebbe nascere senza programma e dopo il voto: un Frankenstein che va da Ruffini a Fratoianni. Eh già, si sognano grandi cose a sinistra. Nel frattempo il lavoro sporco è affidato al genio guastatore: ai settori più politicizzati della magistratura. E quando questi non possono intervenire direttamente (come nel caso dei Centri di trattenimento in Albania) a innescarli ci pensa l’esposto di turno, prontamente attivato dalla polemica urlata dai banchi dell’opposizione. L’obiettivo? Far processare la “politica” del governo. Nel tentativo, tanto vano quanto ostinato, di terremotarne l’equilibrio. Di demoralizzare gli elettori sul fatto che il programma che hanno votato non andrà mai in porto.

A lanciare l’alert ci ha pensato una che ne sa qualcosa, come la terzogenita del Cavaliere, Barbara Berlusconi: «Non può sfuggire la coincidenza dell’avviso di garanzia alla premier Meloni, contestualmente alla riforma in discussione sulla separazione delle carriere dei magistrati». Trent’anni dopo la magistratura militante non ha più, forse, la forza di cambiare direttamente il corso degli eventi (il governo Berlusconi I cadde a dicembre del ‘94 proprio dopo un’avviso di garanzia che giunse all’allora premier durante la sessione del G7) ma è rimasto l’ultimo vero contropotere attrezzato per disseminare ostacoli a chi governa. La risposta di Giorgia Meloni, con in mano l’avviso di indagine ricevuto sul caso Almasri insieme ai ministri Nordio e Piantedosi, è stata a tono: «Non mi faccio intimidire: soprattutto quando è in gioco la sicurezza della Nazione».

Come è chiaro dalle parole della premier, vi è qualcosa in più dello scontro fra poteri a proposito di una pur importantissima riforma come quella della giustizia. L’obiettivo degli avversari – politici, mediatici e ovviamente togati – punta all’intero piatto: a rendere l’interesse nazionale un potenziale reato. O per lo meno far credere che sia incompatibile con lo stato di diritto: in modo da devitalizzare il mandato che Meloni sta interpretando come in Italia non si vedeva da tempo. Il caso Almasri è paradigmatico. A sinistra nessuno si è interrogato sul perché un “criminale” per la Corte penale internazionale sia rimasto “ectoplasma” per due settimane in mezza Europa – ossia fra chi evidentemente non aveva alcun interesse a scatenare un pericoloso caso diplomatico con la Libia – e sia divenuto un pericoloso ricercato solo poche ore prima la sua tappa nel Belpaese. L’obiettivo dei giallo-rossi, con una dose di ipocrisia vergognosa per chi gli accordi coi libici come Almasri li ha partoriti e confermati, era e rimane quello di colpire il governo. Non di tutelare, con la necessaria adesione bipartisan ai dettami della realpolitik, la sicurezza di tutti.

Si tratta di una protesta, questa delle opposizioni, che con tutta evidenza non abbraccia alcun tipo di sentimento popolare. Così come impopolare è l’adesione, anzi la sovrapposizione, dell’agenda protestataria dell’Anm con quelle dei leader del campo largo contro la riforma Nordio. Stesso discorso, poi, per i referendum: a partire da quello per dimezzare gli anni necessari agli stranieri per ottenere la cittadinanza italiana. Indizi che fanno una prova: non esiste una contestazione di massa nei confronti dell’esecutivo. Si tratta di una contrapposizione di minoranze organizzate, di pezzi di establishment, di blocchi di potere che hanno visto lievitare la propria influenza garantendo per anni il peggiore status quo. A difesa di questo si è schierata un’opposizione modello Tafazzi che non riesce a scalfire dopo due anni il feeling fra Palazzo Chigi e gli italiani. E che adesso è pronta a segnare il più clamoroso degli autogol: fare il tifo per chi vuol processare un governo “reo” di aver messo in cima, esattamente come fanno gli altri partner, l’interesse nazionale.

 

 

 

 

 

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di Antonio Rapisarda - 29 Gennaio 2025