L’intervento/2. Cecilia Sala torna a casa. Altro che dottrina Trump: vince la “Dottrina Meloni”

10 Gen 2025 8:00 - di Paolo Di Caro

L’aereo dei Servizi torna a Ciampino in silenzio, annunciato da un discreto e risoluto comunicato di Palazzo Chigi.
Cecilia Sala è libera, l’Italia porta a casa un risultato diplomatico importante, ma soprattutto afferma un nuovo stile delle relazioni internazionali: fermezza, pochi fronzoli, nessuna concessione alla tendenza liberal di accontentare tutti e finire nelle sabbie mobili delle “barbe finte” e dei faccendieri prezzolati. I Servizi fanno i Servizi, i diplomatici fanno i diplomatici, la politica fa la politica: ogni tassello al proprio posto nel delicato puzzle di una crisi internazionale durata pochissimo, con di mezzo una Nazione, l’Iran, tutt’altro che di secondo piano negli assetti geopolitici globali.

Una nuova “dottrina” italiana

Gli osservatori politici sono stati subito pronti a parlare di “dottrina Trump”, pur riconoscendo il grande ruolo del Governo italiano; ma la realtà è che l’affaire Sala sancisce l’irruzione nello scenario globale di una vera e propria “dottrina Meloni”, fatta di relazioni dirette, inglese fluente e istinto del killer di fronte a dossier complicati e incroci pericolosi. E questo ben al di là di eventuali successi e insuccessi in politica interna, trattative estenuanti con gli alleati di governo, cambiamenti epocali ancora da realizzare. Per poter correre bisogna prima di tutto dimostrare di avere fiato e gambe, oltre che presentarsi come “atleti” credibili. Le debolezze di Francia e Germania avevano già, nei fatti, alzato il peso specifico della Presidente italiana, con le soluzioni per il vecchio Continente piazzate in mezzo a lunghe passeggiate con Ursula van Der Lyen, sorrisi e sguardi di ghiaccio, senza un briciolo di timore reverenziale, a ribadire quanto la stagione dell’asse franco-tedesco a Bruxelles fosse roba preistorica.

Nessuna sudditanza: rapporto diretto

La stessa cosa è accaduta con Donald Trump, con una condotta depurata dalle scenette “strapaesane” alle quali siamo stati abituati da anni di sudditanza a stelle e strisce: una campagna elettorale ad attendere, quasi in silenzio, che una Nazione sovrana scegliesse il proprio leader, per poi affermare il ruolo di una Italia forte e finalmente con una politica estera chiara, intellegibile, credibile, nella quale le alleanze sono sostanza e non forma. Giorgia Meloni, poche ore dopo il rapimento della giornalista de Il Foglio, prende un aereo e raggiunge a sorpresa Donald Trump negli States, in Florida, per una foto di rito e un messaggio neanche troppo subliminale al Paese degli Ayatollah: Mohammad Abedini Najafabadi, l’ingegnere iraniano esperto di droni, non verrà estradato negli Stati Uniti; da oggi per parlare con l’Italia non c’è bisogno di intermediari ingombranti. Basta chiamare Roma.

Via gli interpreti, a Meloni basta una chiacchierata faccia a faccia con il quasi Presidente per ribadire non l’amicizia, come qualcuno banalizzando sottolinea, ma l’alleanza strategica, il rapporto a peso specifico riequilibrato fra il gigante americano e l’ex-colonia alla periferia dell’Impero. Un successo diplomatico chiaro, riconosciuto da tutti, oltre le aspettative e lontano anni-luce dalle brutte figure introspettive alle quali ci avevano abituati anni di rapporti ballerini fra le diplomazie, con l’Italia a dover chiedere permesso per affermare il proprio ruolo e la ridicolizzazione dei nostri servizi di sicurezza.

Da Sigonella al Falcon

Quarant’anni fa Bettino Craxi dovette schierare i Carabinieri sulla pista di Sigonella per non vedere la sovranità nazionale calpestata e derisa, in occasione della crisi seguita al sequestro dell’Achille Lauro; oggi è bastato un Falcon, le idee chiare, uno straccio di politica estera e una intelligence legittimata, per alzare la voce, ricacciare l’Iran nella propria nicchia e far sedere l’Italia al tavolo dei Grandi. Cecilia torna a casa, dopo il silenzio-stampa chiesto dal Governo e dalla famiglia per accelerare i tempi della liberazione; ringrazia e tornerà a raccontarci la libertà, insieme a quei colleghi che da domani si sentiranno un po’ più tutelati mentre fanno il proprio lavoro nelle zone a rischio del mondo. Alle sue spalle, grazie alla “dottrina Meloni”, c’è forse per la prima volta l’Italia, quella vera, fatta di sano realismo politico e di servizi segreti al servizio della Nazione, non quella acefala e inconsistente delle consorterie radical e dell’inglese biascicato di Matteo Renzi. E scusate se è poco.

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