Miti. Ma quale “fluida”: quella di Mishima, l’esteta del patriottismo, è stata la via del samurai

15 Gen 2025 8:00 - di Giuseppe Del Ninno

Come spesso accade, gli anniversari sono l’occasione per riportare al centro della pubblica attenzione questo o quel personaggio, che si tratti di uno scrittore o di un politico, di un musicista o di un attore. Non è sfuggito a questa regola generale Yukio Mishima, di cui oggi 14 gennaio ricorre appunto il centenario della  nascita. Personalità poliedrica, artista totale, Mishima si presta alle più diverse interpretazioni, non solo per le sue opere, ma per la sua stessa parabola esistenziale. Fra l’altro, è stato ed è conteso da due diversi e contrapposti schieramenti culturali e politici, che per brevità definiremo come “progressisti” e “conservatori”: per limitarci a due esempi, nei giorni scorsi, presso la libreria “Hora Felix” di Roma, Gennaro Malgieri ha tenuto una vera e propria lectio, a partire da un suo saggio di qualche anno fa, “Yukio Mishima, esteta del patriottismo”; ieri, sulle pagine di Repubblica, Raffaella De Santis parla invece di un Mishima «ironico, fluido e non fascista».

Ora, la morte che Mishima decise di darsi il 25 novembre del 1970, non con un “semplice” suicidio, ma con il seppuku, un suicidio rituale, in linea con le tradizioni del Giappone dei samurai, su cui regnava come imperatore il figlio di una dea, sgombra il campo da ogni interpretazione soggettiva e interessata. Certo, Mishima fu anche il ponte fra la cultura occidentale – quella dell’antica Grecia soprattutto, con la sua componente di omofilia – e quella della sua patria (e “Patriottismo” s’intitola uno dei suoi racconti più emozionanti); e la linea di congiunzione fra le due culture la individuò nel segno della bellezza, specialmente nei corpi celebrati dalla statuaria greca (ma anche in certi modelli della pittura occidentale: ricordiamo che fra i dipinti che preferì ci fu il “S. Sebastiano” di Guido Reni). Basta questo per affibbiargli l’attributo di “fluido”?

E quanto alla sua presunta misoginia, sarebbe sufficiente rimandare alle protagoniste del romanzo “Sete d’amore” o a quelle della raccolta di racconti “Morte di mezza estate”, per trovarvi la più inoppugnabile delle smentite.

Come ogni grande spirito, Mishima fu aperto a tutte le strade della conoscenza, ma il faro del suo cammino esistenziale restò fino alla fine la tradizione, fatta di senso dell’onore, di coraggio, di obbedienza al divino imperatore. E proprio la dolorosa constatazione che le virtù dei padri, dopo l’umiliante sconfitta ad opera degli americani, erano misconosciute dal suo popolo, ha ispirato romanzi quali “Il padiglione d’oro”, e poi lo ha condotto al seppuku, la cui data, non a caso, è stata, nel campo “progressista”, meno celebrata di questa, più “neutra”, della nascita.

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