Niente dazi per l’Italia? Di Giuseppe (FdI) sulla frase di Trump: siamo in posizione unica (video)
«Concederete un break all’Italia sui dazi? Meloni mi piace molto, vediamo cosa succede!». Così Donald Trump ha risposto alla domanda di una reporter italiana che gli chiedeva della premier Giorgia Meloni.
Nella dichiarazioni pirotecniche sul tema dei dazi – fra minacce a mezzo mondo e dietrofront – irrompe il rapporto personale con la nostra presidente del Consiglio, consolidato dalla presenza di Giorgia Meloni all’Inauguration Day. Che potrebbe valere all’Italia un’esenzione dalle misure punitive contro una Ue che “ci tratta molto male”, come ha ripetuto più volte il tycoon a Davos.
Dai vini ai formaggi, dall’automotive al pollame, l’uso coercitivo dei dazi è una riedizione del primo Trump. Rafforzata, questa volta, da un voto popolare che è un’investitura al ‘double down’, a rincarare la dose. Chi lo conosce aveva notato come, nel suo discorso al World Economic Forum, Trump avesse risparmiato Panama e Groenlandia e usato toni soft con la Cina. Ma non con l’Ue.
C’entra il forte surplus commerciale europeo (soprattutto tedesco e italiano), c’entrano la regolamentazione Ue del digitale e i contenziosi con Big Tech – da ultimo proprio con Musk – così come la spesa militare per la Nato, dove peraltro l’Italia è agli ultimi posti.
Nel centrosinistra, c’è chi come l’ex presidente del Consiglio, Mario Monti, maligna che il rapporto personale fra Trump e Meloni potrebbe avere diverse chiavi di lettura. Dipingono lo stretto legame della premier italiana più che una “cerniera” con l’Europa, una “lama separatrice”, se non addirittura come strepita Angelo Bonelli dei Verdi, un “cavallo di Troia” dentro l’Ue. Ma se la misura americana sarà solo a beneficio per l’Italia, Bruxelles non può certo imporre a Roma nulla. Tantomeno di dover pagare dei dazi che magari saranno imposti a Spagna, Francia o Germania.
Se Trump vuole mettere i dazi selettivi, l’Ue non può fare nulla
Quel che è certo è che “chiaramente i dazi per noi sarebbero un problema”, come aveva detto la premier nella conferenza stampa d’inizio anno. E che se Trump andrà fino in fondo il problema si pone per la risposta europea. In particolare, l’Unione europea nulla può contro i favori che Trump può concedere a questo o quello Stato membro, proprio con l’intento di scoraggiare una reazione compatta. Questa non passerebbe necessariamente dai dazi.
Di Giuseppe (FdI): “Rischia molto più la Germania di noi”
All’Adnkronos Andrea Di Giuseppe, deputato di Fratelli d’Italia eletto nella circoscrizione Nord e Centro America, spiega che “per l’Italia i rischi sono più contenuti rispetto ad altre economie come quella tedesca. Il nostro tessuto di piccole e medie imprese, se fino a 3-4 anni fa veniva criticato, oggi è un asset: produciamo beni unici e che difficilmente possono essere prodotti negli Stati Uniti, dunque non c’è l’interesse a colpirli con dazi. A differenza della Germania, che rischia di essere colpita duramente dai dazi per via della sua forte esposizione commerciale e della bilancia commerciale sfavorevole, con grandi aziende direttamente concorrenti delle corporation statunitensi”.
Di Giuseppe ha però avvertito che affrontare il tema dei dazi richiederà realismo e pragmatismo da parte dell’Europa: ”Non possiamo permetterci di adottare toni conflittuali o scimmiottare Trump, c’è un evidente squilibrio tra le nostre capacità negoziali. Serve intelligenza per sfruttare i nostri punti di forza, essendo coscienti dei nostri limiti”.
Secondo il deputato, parlare oggi di piani economici sui dazi è prematuro, ”ci sono troppe variabili in campo: sarà un attento lavoro di accordi e negoziati, ma l’Italia si trova in una posizione unica per affrontare le sfide future grazie alla sua resilienza e al suo approccio strategico”.