Raggiunto l’accordo Israele-Hamas: 33 ostaggi in cambio di mille prigionieri, anche terroristi

15 Gen 2025 19:33 - di Alice Carrazza
Medio Oriente Hamas Israele

«Aspettiamo finché le cose non sono confermate. Sono ore cruciali. Speriamo di veder tornare gli ostaggi dalla prossima settimana», dichiara il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, nel corso di un’intervista con Bruno Vespa. Dietro le sue parole, però, si nasconde il peso di una delle trattative più intricate e drammatiche degli ultimi anni, tanto da costringere Sa’ar a interrompere bruscamente la sua visita a Roma.

Sa’ar: “Decisione difficile, ma responsabilità verso gli ostaggi”

«Stanotte torneremo in Israele perché probabilmente domani il gabinetto di sicurezza voterà sull’accordo degli ostaggi. Sarò onesto con voi, sarà una decisione difficile». Così Sa’ar, durante la visita alla comunità ebraica presso nella sinagoga della Capitale. «Non è ancora finalizzato, ma sembra andrà in porto», dice ribadendo che la scelta sarà dolorosa perché «si liberano terroristi, inclusa gente che ha ucciso ebrei». «Abbiamo fatto del nostro meglio. 98 ostaggi sono ancora là, forse la metà sono ancora vivi. Se rinviamo la  decisione potrebbero morirne altri», spiega col cuore in mano Sa’ar. «Abbiamo una responsabilità», conclude prima di dirigersi verso l’aeroporto.

33 ostaggi israeliani in cambio di 1000 palestinesi

L’intesa prevede il rilascio di 33 ostaggi israeliani, tra cui donne, bambini e uomini sopra i 50 anni, in cambio di oltre 1.000 prigionieri palestinesi, inclusi estremisti condannati a lunghe pene per attacchi mortali. Tuttavia, Israele ha precisato che nessuno dei detenuti coinvolti nell’attacco del 7 ottobre 2023 sarà rilasciato. La prima fase dell’accordo durerà 60 giorni, con negoziati previsti dal 16° giorno per il rilascio dei restanti ostaggi, inclusi civili più giovani e soldati, oltre alla restituzione dei corpi delle vittime.

La mediazione di Egitto, Qatar e Stati Uniti è stata cruciale. «Abbiamo un accordo per gli ostaggi in Medio Oriente. Saranno presto rilasciati», conferma infatti Trump su Truth, aggiungendo che è disposto a tutto anche ad una pace attraverso la forza. La fragilità dell’intesa resta comunque evidente, in assenza di garanzie scritte, lasciando aperta la possibilità di una ripresa delle ostilità.

L’inizio della guerra

L’offensiva israeliana su Gaza è iniziata in risposta al pogrom sanguinario di Hamas. Gli uomini armati del gruppo avevano superato le barriere di sicurezza, uccidendo 1.200 persone e sequestrando oltre 250 ostaggi. Da allora, il conflitto ha causato oltre 46.000 morti nella Striscia, secondo fonti sanitarie locali, e fatto implodere il Medio Oriente, coinvolgendo proxy iraniani in Libano, Iraq e Yemen.

Le implicazioni politiche in Israele

Per il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ritorno degli ostaggi è prima di tutto una priorità politica. Il suo governo è stato duramente criticato per il fallimento della sicurezza nazionale, definito il più grave nella storia del Paese. Tuttavia, l’accordo ha incontrato non poche resistenze, sia interne al governo che esterne da parte dell’opinione pubblica. Infatti, mentre a Gaza si festeggia già per la tregua con le torce accese, a Tel Aviv e Gerusalemme le proteste delle famiglie che non vedranno tornare i propri figli non si placano. «Non ci fermeremo finché non vedremo l’ultimo ostaggio tornare a casa», l’urlo unanime.

Nessuna ricompensa politica ad Hamas

Antony Blinken, segretario di Stato americano che sta per lasciare il suo posto a Marco Rubio, sottolinea la necessità di pianificare il dopoguerra a Gaza. La sua proposta prevede il ritorno dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) al governo della Striscia, con il supporto delle Nazioni unite e una forza di sicurezza composta da paesi arabi. «Non possiamo permettere che Hamas riceva alcuna ricompensa politica per le sue azioni», dichiara Blinken, puntando a un nuovo assetto che escluda l’organizzazione.

Un conto alla rovescia infinito, ma la posta in gioco è altissima

Dietro i negoziati per Gaza, si delinea un quadro più ampio. La normalizzazione delle relazioni tra lo Stato ebraico e l’Arabia Saudita potrebbe rappresentare una nuova stagione per il Medio Oriente, ma tutto dipenderà dalla stabilità post-conflitto. Nel frattempo, il governo di Bibi Netanyahu sta già pianificando le prossime mosse contro l’Iran, considerato il principale ostacolo alla leadership, ma anche alla pace, regionale.

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