Tutte le volte che i magistrati sono entrati a gamba tesa per disfare i governi: una lunga storia
Le parole di Barbara Berlusconi, la terzogenita di Silvio, danno la traccia: tutte le volete che i magistrati sono entrati a gamba tesa a disfare governi. “Impossibile non pensare all’avviso di garanzia arrivato a mio padre n el 1994”, dice la dirigente di Fininvest al Tg1. Disfare i governi, indebolirli, sempre loro, i magistrati. “Giustizia a orologeria? Sospetto più che legittimo”, dice Barbara. Ma il vizio di dare spallate ai governi ed entrare a gamba tesa nelle cose politiche inizia da molto prima. Anche prima di Tangentopoli. La crisi del secondo governo Craxi (9 aprile 1987) si consumò, ad esempio, sul referendum per la responsabilità civile dei magistrati, avversato dalle toghe e da una parte del parlamento: la Dc e il Pci ricorsero alle elezioni anticipate pur di rinviarlo per un tempo sufficiente a elaborare una leggina che lasciò le toghe impunite. Ieri come oggi.
Magistrati e politica, i vizietto di condizionare i governi è iniziato prima di Berlusconi
Si arriva a Tangentopoli. Al presidente dell Repubblica, Scalfaro, non fu necessario un avviso di garanzia per Craxi: bastò la voce di un suo coinvolgimento e il Capo dello Stato nominò premier Giuliano Amato. Poi si andò di ghigliottina. Nel febbraio 1992 furono «avvisati» i ministri Martelli, Reviglio, Goria e De Lorenzo. Farri fuori politicamente. “Prima ancora – ricorda Filippo
Facci sul Giornale- l’intero governo fu delegittimato dalle minacciate dimissioni del Pool di Milano per via del Decreto Conso, che doveva favorire un’uscita da Tangentopoli: ma Scalfaro non controfirmò la legge e rese chiaro chi comandava”. Da ricordare che per l’ostilità a quel decreto si dimisero altri due ministri, Carlo Ripa di Meana e Valdo Spini.
Craxi, Mastella, De Girolamo, Lupi
Ed eccoci al 1994 alla Seconda Repubblica. La notizia di un mandato di comparizione a Berlusconi che stave presiedendo il G7 arrivò a mezzo stampa. Ci fu una fuga di notizie “a livelli altissimi”. Il processo che seguì si concluse con piena assoluzione. Lo scossone al governo Berlusconi aprirà un crisi. Il governo cadde e a guidare l’esecutivo andò Romano Prodi. La deriva giudiziaria contro i governi proseguì. Come dimenticare quel gennaio 2008 quando scattarono le manette per Alessandra Lonardo, moglie dell’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella? A sua volta finì indagato e si dimise. Il governo Prodi cadde (tecnicamente per il mancato voto di un esponente dell’ala sinistra, Franco Turigliatto) . Ma il peso delle rivelazioni giudiziarie dette una mannaia all’esecutivo. Poi, sorpresa, quelle accusew si dimostraroni insussistenti: le sentenze saranno di assoluzione.
Magistrati e governi in carica: stesso schema: indagini, dimissioni, assoluzioni…
Arriviamo al governo Berlusconi IV, 2010 con l’affare dell’allora ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola: indagato per la faccenda di un appartamento con vista sul Colosseo, si dimetterà. In seguito sarà assolto e poi prescritto. Quello stesso anno toccò anche al ministro Aldo Brancher che finì indagato per la tentata scalata ad Antonveneta. Stesso copione. Dimissioni. Il reato sarà indultato. Ricordiamo poi quel che successe tra il 2010- 2011, la tempesta giudiziaria sulle «cene eleganti» di Berlusconi e tutto quel che seguì, che ormai è appurato. Arriva Mario Monti a Palazzo Chigi. Anche in quel periodo i magistrati determinano contraccolpi e dimissioni.
Ricordiamo nel 2013 il caso della ministra per lo sport di Enrico Letta, Josefa Idem, ex campionessa olimpica. La scoperta di uun mancato pagamento di alcune quote Ici e Imu bastò per farla dimettere. La Idem pagherà un’ammenda di 3000 euro, ma la sua carriera finì lì. Come dimenticare Nunzia De Girolamo, ministro dell’Agricoltura: fu indagata in un procedimento sulle Asl di Benevento e si dimise. Ebbene, finirà archiviata tre anni dopo. Le intercettazioni nel 2015 inguaiarono il governo Renzi, con il ministro delle infrastrutture Maurizio Lupi che si dimise spontaneamente: suo figlio aveva avuto in regalo un Rolex da un vecchio amico di famiglia. La faccenda giudiziaria fu ingigantita e anche se non era indagato si dimise. Sempre nel governo Renzi c’era anche l’imprenditrice Federica Guidi, ministro dello Sviluppo economico: il suo nome risultò in un’inchiesta di Potenza sullo smaltimento di rifiuti: intercettazioni furono date in pasto ai giornali. Anche in quel caso la ministra si dimise, anche se non era neppure indagata.
La “ripicca” per la rifoprma della giustizia
Il resto è storia recente. Il processo Open Arms all’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Finito con un’assoluzione ma con un’agonia di qualche anno nel corso dei quali il dibattito politico si è arroventato ammaccando la figura dell’attuale vicepremier. Ora siamo alla puntata attuale: l’avviso di garanzia al premier Meloni, due ministri e un sottosegretario. Nel mirino di una magistratura che non accetta la riforma della giustizia e che sabato ha segnato uno iato gravissimo per l’equilibio istituzionale, dando le spalle al ministro Nordio e uscendo dall’aula per non acoltare le sue parole. La forma è sostanza. E le cose stanno seguendo una logica che pure un ministro sobrio come Tajani, ha definito “ripicca”. Dagli sbarchi bloccati dal governo di cui Salvini era ministro degli Interni al caso del centro di accoglienza in Albania fino all’attuale questione che riguarda la sicurezza nazionale: la magistratura quanto meno dà l’impressione di volersi sostituire al potere politico e a quello esecutivo. O a riempire un vuoto. Il vuoto del centrosinistra, che non a caso ora cavalca la questione libica, senza minimamente centrare il tema dell’interesse nazionale.
Riceviamo e pubblichiamo la seguente precisazione di Valdo Spini – che ringraziamo per l’attenzione- inviata al direttore del Secolo d’Italia
Gentile direttore,
in relazione a quanto pubblicato sul “Secolo d’Italia” in un articolo del 29/1/2025 (u.s) chiederei alla sua cortesia di precisare che io non mi dimisi da ministro insieme al compianto Carlo Ripadi Meana. Al contrario: in effetti Ripa di Meana si dimise dal primo governo di Giuliano Amato per protesta per quello che fu definito il “non decreto non Conso”. Ma in conseguenza di questo atto, il Presidente Amato mi nominò ministro al suo posto. Quindi niente dimissioni ma subentro: giurai per la prima volta come ministro il 9 marzo 1993. Lieto di avere avuto quest’occasione di contatto. La ringrazio e la saluto Molto cordialmente
Valdo Spini